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SCIENZA

La NASA è entrata all'interno di un buco nero, è stato visto il "punto di non ritorno"

Cosa accadrebbe se precipitassimo all'interno di un buco nero supermassiccio? Grazie a una simulazione della NASA abbiamo visto il "punto di non ritorno".

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Che succederebbe se cadessimo dentro a un buco nero? È la domanda di partenza che si è posto l’astrofisico Jeremy Schnittman che lavora per il Goddard Space Flight Center della NASA. Grazie a un supercomputer, Schnittman è stato in grado di simulare due diversi scenari che consentono di vivere (seppur virtualmente) un’esperienza immersiva in un contesto che, ovviamente, sarebbe praticamente impossibile da assaporare in prima persona. Ma cosa ha visto?

La simulazione con il supercomputer Discover

“Le persone spesso chiedono questo, e simulare questi processi difficili da immaginare, mi aiuta a collegare la matematica della relatività alle effettive conseguenze nell’Universo reale – ha affermato Jeremy Schnittman in una nota condivisa dalla NASA -. Così ho simulato due diversi scenari, uno in cui una telecamera, una controfigura di un audace astronauta, manca appena l’orizzonte degli eventi e si lancia indietro, e uno in cui attraversa il confine, segnando il suo destino”.

Simulazioni che consentono allo spettatore curioso di immergersi in un viaggio all’interno di un buco nero supermassiccio che ricalca le caratteristiche di quello realmente scoperto al centro della Via Lattea, grande 4,3 milioni di volte la massa del nostro Sole.

Schnittman in collaborazione con il collega Brian Powell ha utilizzato il supercomputer Discover disponibile presso il Centro per la Simulazione Climatica della NASA. Un progetto ambizioso che ha generato circa 10 TB di dati in 5 giorni di esecuzione.

Cosa accadrebbe se cadessimo dentro a un buco nero supermassiccio

La scelta è ricaduta su un buco nero supermassiccio perché, come ha spiegato lo stesso Schnittman: “I buchi neri di massa stellare, che contengono fino a circa 30 masse solari, possiedono orizzonti degli eventi molto più piccoli e forze di marea più forti, che possono fare a pezzi gli oggetti in avvicinamento prima che raggiungano l’orizzonte”. Qui si riferisce alla cosiddetta spaghettificazione, ovvero l’ipotetico effetto che avviene quando un oggetto è in caduta verso il centro di un buco nero.

La simulazione si estende su un arco spaziale di circa 25 milioni di chilometri. La prima cosa che si vede è una nuvola piatta e vorticosa di gas caldo e luminoso (disco di accrescimento) che circonda il buco nero insieme ad alcune strutture luminose che vi si formano attorno (anelli fotonici). Avvicinandosi al buco nero con una velocità che si avvicina sempre più a quella della luce, il bagliore si intensifica e vira sul bianco e tutto diventa sempre più distorto, come deformato.

Il “punto di non ritorno” al centro del buco nero

Il viaggio prosegue finché lo spettatore non precipita verso il centro del buco nero, dove le leggi della fisica cessano di funzionare per come le conosciamo. Si tratta del “punto di non ritorno”, la “singolarità gravitazionale” teorizzata da Einstein: secondo la teoria della relatività, al centro di ogni buco nero vi è un punto in cui la curvatura dello spazio-tempo raggiunge un valore infinito.

Come detto al principio, però, Schnittman ha realizzato anche uno scenario alternativo, quello in cui un ipotetico astronauta non attraversa il buco nero supermassiccio riuscendo a mettersi in salvo con la sua astronave. “Se un astronauta volasse su una navicella spaziale in questo viaggio di andata e ritorno di 6 ore mentre i suoi colleghi su una nave madre rimanessero lontani dal buco nero, ritornerebbe 36 minuti più giovane dei suoi colleghi – spiega la NASA -. Questo perché il tempo scorre più lentamente vicino a una forte fonte gravitazionale e quando ci si muove vicino alla velocità della luce”.