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Perché nei video gli umani picchiano i robot

Paradossalmente picchiare un robot ha un effetto rassicurante sul grande pubblico e, quindi, sui grandi investitori

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Negli ultimi mesi stanno spuntando come funghi nuovi modelli di robot: Unitree, LimX, Ghost Robotics, Figure AI, Tesla, Xiaomi, Boston Dynamics, Apptronik, Agility Robotics sono solo le aziende più famose tra quelle che hanno aggiornato la propria gamma, con uno o più robot.

Non stiamo parlando, ovviamente, dei robot aspirapolvere e lavapavimenti, ma di robot umanoidi o a forma di “cane (o comunque quadrupedi). Cioè i cosiddetti robot “general purpose“, ovvero multi scopo, che possono fare più cose grazie alla possibilità di muoversi e prendere oggetti.

Una cosa che accomuna tutte queste aziende è il fatto che, periodicamente, pubblicano dei video pubblicitari in cui mostrano l’evoluzione del prodotto. In moltissimi di questi video si vede una cosa che, solo apparentemente, è illogica: un umano che picchia, bastona o in altro modo maltratta il robot.

Gli umani picchiano i robot

Il video tipico pubblicato dalle aziende di robotica avanzata ha ormai uno script ben preciso: prima si fa vedere come si muove il prodotto, poi si fa vedere che può prendere, spostare e manipolare (nel caso di robot umanoidi con le mani) uno o più oggetti e, in generale, si simulano degli ambienti impervi e si mostra il comportamento di questi robot in tali ambiente.

Inoltre, spesso si mostra il robot in ambienti lavorativi, che svolge un qualche ruolo insieme o al posto degli umani. E, per finire, molto spesso si mostra anche un umano che prende a calci il robot, a bastonate, lo spinge, lo butta a terra.

Perché gli umani picchiano i robot

Ci sono più motivi per i quali “ha senso picchiare i robot“. Il primo è mostrarne le capacità di equilibrio e adattamento agli stimoli esterni.

Uno spintone o un calcio non sono certamente qualcosa che rientra nei compiti di un robot, quindi il produttore usa questi episodi per mostrare in che modo il dispositivo riesce a restare in equilibrio, o a rialzarsi se cade.

Poi c’è la questione robustezza: il robot deve essere solido, specialmente se è destinato al lavoro in ambienti difficili dove grossi carichi gli possono cadere addosso, o può essere investito da altri robot su ruote.

E poi c’è la spinosissima questione che sta sul fondo di tutto: i robot sono buoni o cattivi?

La terza legge di Asimov

Storicamente tutti i progressi della robotica hanno dovuto rispondere alle tre leggi di Asimov (o tre leggi della robotica). Eccole:

  1. Un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge
  3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge

Non c’è nulla di scientifico in queste leggi che, anzi, provengono dalla letteratura fantasy e non certo dalle università. Tuttavia, queste tre leggi sono rimaste nell’immaginario comune, anche in quello degli scienziati, a tutela del fatto che mai sarebbe stato prodotto un robot “cattivo.

Il fatto che un robot, sia esso “cane” o “umano“, prenda un calcio o una bastonata e non reagisca è la dimostrazione che esso obbedisce alla terza legge di Asimov. E ciò rassicura tutti: chi guarda il video, chi potenzialmente potrebbe comprare il robot, chi vorrebbe investire nell’azienda che lo produce.

I robot soldato

Alla luce di tutto ciò, fanno molto discutere le scelte che stanno portando molti Governi, in collaborazione con varie aziende di robotica, a sperimentare i robot nel ruolo di soldati armati o, comunque, di supporto ai soldati umani.

La Cina sta testando i robot di Unitree, gli Stati Uniti e altre nazioni alleate stanno testando quelli di Ghost Robotics. E si tratta solo dei casi noti al pubblico perché, come è logico supporre, ci sono molti altri progetti simili al momento non ancora divulgati al grande pubblico.

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