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Sei mesi in orbita: i gravi rischi per gli astronauti

Le missioni di lunga durata modificano il cervello degli astronauti: uno studio rivela i pericoli per la salute legati ai viaggi nello spazio

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Viaggi spaziali: i pericoli per la salute Fonte foto: NASA

Lo studio di un giovane ricercatore italiano rivela i gravi rischi per la salute associati alla permanenza degli astronauti nello spazio. In particolare le missioni di lunga durata, come quelle che si svolgono da vent’anni sulla Stazione Spaziale Internazionale, possono provocare delle modifiche al cervello degli astronauti e contribuire allo sviluppo di una particolare patologia che colpisce la vista.

Le missioni di lunga durata nello spazio

Prima della costruzione della prima stazione spaziale – la Saljut sovietica, lanciata in orbita nel 1971 – la missione più lunga di un essere umano nello spazio era stata di 18 giorni.

Le stazioni spaziali hanno fornito per la prima volta strutture e risorse sufficienti affinché gli astronauti potessero rimanere in orbita per periodi più lunghi: negli anni Novanta si era già arrivati, sulla Mir, a missioni di oltre 400 giorni.

L’ultimo record per la missione di più lunga durata di un astronauta NASA è stato battuto molto di recente da Mark Vande Hei, che è rimasto sulla Stazione Spaziale Internazionale per 355 giorni, superando di ben 15 giorni il precedente primato detenuto da Scott Kelly. Oggi si studiano missioni su Marte e programmi per costruire avamposti umani sulla Luna: bisogna quindi capire come il corpo umano si adatti alla microgravità, e con quali effetti. Vivere per lungo tempo nello spazio non ha soltanto importanti implicazioni psicologiche, ma può modificare il corpo umano e condurre allo sviluppo di patologie e disturbi.

Un team internazionale di ricercatori guidato da Giuseppe Barisano, dell’Università della Southern California, ha quindi analizzato le risonanze magnetiche di diversi astronauti e cosmonauti impegnati in missioni di lunga durata sulla ISS per valutare l’impatto della microgravità sul cervello umano.

I risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas), mostrano “cambiamenti diffusi nella struttura del cervello e nella ridistribuzione del liquido cerebro-spinale”.

L’esperimento sulla ISS

Nel corso dell’esperimento – che ha coinvolto circa 40 astronauti di NASA, Roscosmos ed ESA – sono state valutate le risonanze magnetiche del cervello prima e dopo la permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Le immagini, si legge nella ricerca, “mostrano un aumento del volume delle cavità che contengono il liquido cerebro-spinale” che si trovano intorno ai vasi sanguigni del cervello, condizione che può aumentare il rischio di disturbi della vista.

Il cambiamento appare più marcato nei 24 astronauti della NASA rispetto a quanto osservato nei 13 cosmonauti di Roscosmos: ciò potrebbe essere dovuto, secondo i ricercatori, all’adozione di protocolli di allenamento diversi. Il motivo di tale differenza, in ogni caso, andrà indagato in ulteriori indagini dedicate allo studio di “contromisure in grado di tutelare la salute umana nei futuri viaggi spaziali di lunga durata e sulla Terra”.

In ogni caso, tra i 24 astronauti della NASA analizzati prima e dopo la permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale, 8 hanno sviluppato un particolare disturbo della vista noto come SANS, o sindrome neuro-oculare associata al volo spaziale. La SANS colpisce circa il 50% degli astronauti impegnati in viaggi di lunga durata: si tratta di un disturbo che altera la vista e può dare mal di testa, che generalmente si manifesta durante il volo e quasi sempre passa una volta che gli astronauti tornano sulla Terra.

Lo sviluppo della SANS, secondo il team di scienziati guidato da Barisano, potrebbe essere collegato al fenomeno osservato nelle risonanze magnetiche: la misura del fluido cerebro-spinale negli spazi perivascolari del cervello potrebbe essere un utile indicatore, sia per individuare i soggetti più a rischio sia per studiare delle contromisure che permettano di prevenire la patologia.