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SCIENZA

Un miliardario vuole oscurare il sole e raffreddare il pianeta

Il progetto di geoingegneria che potrebbe cambiare per sempre la Terra, contrastando il surriscaldamento, o trasportarsi in un futuro distopico atroce

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Esclissi solare Fonte foto: 123RF

La crisi climatica sta spingendo sempre più verso soluzioni che prima appartenevano alla fantascienza. Si parla infatti di geoingegneria, ovvero dell’idea di intervenire sul clima attraverso la tecnologia. Un concetto in precedenza marginale ma che sta assumendo sempre più i contorni di una prospettiva concreta. In questo contesto si inserisce Stardust.

Cos’è Stardust

Stardust è una startup fondata nel 2023, registrata negli Stati Uniti ma con sede in Israele. L’obiettivo di quest’azienda è quello di riuscire a brevettare una tecnologia proprietaria che possa raffreddare la Terra per un dato lasso di tempo, contrastando il cambiamento climatico. Una soluzione che sembra gridare Snowpiercer, per gli amanti dei fumetti (anche per i cinefili). L’idea di fondo è quella di immettere in maniera controllata un certo quantitativo di aerosol nella stratosfera.

Non si tratta di un progetto unico nel suo genere. Esiste infatti un precedente, risalente al 2012 che, in termini tecnologici, sembra distante da noi mezzo secolo. Al tempo l’imprenditore americano Russ George riversò 100 tonnellate di solfato di ferro nell’oceano Pacifico. L’obiettivo? Stimolare la crescita di alghe che potessero assorbire maggiori quantità di CO2.

Un’azione che sollevò fortissime critiche, perché non autorizzata. Un esperimento isolato, dunque, com’è facile intuire. Tutt’altro discorso invece per Stardust, che mira a sviluppare un vero e proprio sistema. Si parla di una soluzione replicabile e vendibile ai Paesi interessati.

Il futuro sarà la geoingegneria?

Solitamente sono le università e le agenzie governative a muoversi nel campo della geoingegneria. In questo caso, invece, parliamo di un’impresa privata, con una tecnologia brevettata. Va da sé che tutto ciò desti una grave preoccupazione. Un intervento su scala atmosferica, infatti, potrebbe alterare i modelli meteorologici globale, se mal gestito. Di fatto potremmo compromettere i monsoni in Asia e danneggiare anche lo strato di ozono che, come sappiamo, già non se la passa benissimo.

Un esperimento rischioso, il cui scotto potrebbe essere pagato su scala globale. Del resto non sarebbe la prima volta che un test scientifico sfugge di mano. Basti pensare a quanto avvenuto col Covid. Guardando nello specifico alla tecnologia sviluppata da Stardust, essa si basa sul rilascio di particelle riflettenti nella stratosfera. Proprio come avviene durante gigantesche eruzioni, che hanno dimostrato di poter raffreddare il pianeta per un certo lasso di tempo.

A differenza del metodo a base di solfiti, però, la startup lavora su nuove particelle non solfatiche. L’impatto di queste ultime è meno conosciuto ma, in potenza, decisamente più sicuro ed efficace. Lo garantisce Yanai Yedvab, Ceo di Stardust e dirigente dell’Autorità per l’Energia Atomica israeliana.

Forti critiche

Il mondo scientifico guarda però con sospetto a questo progetto. È stata infatti rilevata una scarsa trasparenza da parte di Stardust. In un rapporto del diplomatico Onu, Janos Pasztor invita l’azienda a rendere pubblici i progressi ottenuti. L’idea è quella di coinvolgere attivamente la comunità scientifica, impegnandosi a rispettare un codice etico. L’azienda ha per ora pubblicato sette principi guida sul proprio sito.

Nel frattempo si è passati ai test sul campo, i cui risultati non sono stati resi noti. Ciò alimenta dubbi. Da un lato c’è chi sospetta sia una bufala e dall’altro chi teme che i governi possano ritrovarsi soggetti a un monopolio tecnologico.

Ma chi finanzia Stardust? Principalmente si tratta di Awz Ventures, fondo canadese-israeliano con legami con ambienti militari ed intelligence. Tra i consulenti strategici ci sono infatti ex dirigenti del Mossad e della Cia. Ciò ovviamente solleva dubbi sul potenziale uso di tale tecnologia in contesti geopolitici.

Di fatto esiste un vuoto normativo e non è da escludere che una società privata possa agire per modificare il clima globale, senza una reale legittimazione democratica. Ancora una volta la tecnologia corre veloce e la politica insegue, a distanza, col fiatone.

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