Come in molti stanno usando l’AI per imbrogliare ai colloqui di lavoro
Ecco come molti aggirano i colloqui di lavoro: tra LLM, test-trappola e sfiducia reciproca. Il futuro delle assunzioni in mano all'intelligenza artificiale?

Nel mondo del lavoro, soprattutto nel settore tech, qualcosa sta cambiando. Non si tratta solo della rivoluzione dell’intelligenza artificiale, ma del modo in cui questa viene usata – o abusata – nei colloqui di lavoro. La storia di Henry Kirk, cofondatore di Studio Init, una piccola azienda di sviluppo software, è emblematica: ha chiesto ai candidati di non usare strumenti di AI generativa nei test tecnici iniziali. Risultato? Hanno barato tutti, lo stesso.
“Era così ovvio”, ha raccontato Kirk a Business Insider. Candidati che guardano altrove durante la videochiamata, che incollano blocchi di codice perfetti ma fuori contesto, che si rifiutano di condividere lo schermo o che rispondono con frasi che sembrano generate da ChatGPT.
Non è un caso isolato. Da Google ad Amazon, da startup a colossi globali, i selezionatori si stanno scontrando con una realtà difficile da gestire: test superati con risultati impeccabili, seguiti da interviste in cui il candidato dimostra di non saper spiegare nemmeno le basi del codice che ha “scritto”.
Insomma l’AI, da strumento di supporto, si sta trasformando in un complice silenzioso di una nuova forma di cheating.
Un problema diffuso e in crescita
Secondo Karat, azienda specializzata in colloqui tecnici, i casi sospetti di imbroglio sono passati dal 2% al 10% in appena due anni. Fonzi, piattaforma di selezione basata su AI, ha segnalato che il 23% dei candidati analizzati tra gennaio e marzo 2024 ha probabilmente usato strumenti esterni.
Il paradosso è evidente: molte aziende vogliono che gli ingegneri usino l’AI sul lavoro, ma vietano di usarla nei colloqui. Un doppio standard che solleva interrogativi etici non da poco. È davvero “barare” se stai usando lo stesso strumento che l’azienda ti chiederà di usare quotidianamente? O si tratta di una naturale evoluzione del lavoro tecnico, dove conta di più saper usare l’AI che scrivere ogni riga di codice a mano?
Il problema, però, non è solo tecnico: è umano. I candidati, spesso, non si fidano delle aziende e non vogliono investire ore su test gratuiti per un posto che forse non arriverà mai. I selezionatori, a loro volta, diffidano dei candidati, convinti che dietro ogni risposta perfetta si nasconda una scorciatoia digitale.
In mezzo, una giungla di strumenti che automatizzano candidature, generano lettere motivazionali e rispondono in tempo reale ai quiz online. A volte sembra che a parlarsi siano solo due intelligenze artificiali: quella del candidato e quella del recruiter.
Come usano l’AI per superare i colloqui di lavoro
Durante i colloqui online, alcuni candidatisemplicemente copiano e incollano le domande tecniche (come coding challenge, quiz o domande a risposta aperta) direttamente in ChatGPT o strumenti equivalenti. In pochi secondi, ottengono risposte articolate e le leggono a voce come se fossero loro.
Nei colloqui che prevedono una prova pratica in tempo reale, come scrivere codice durante una videochiamata, si corre sempre a ChatGPT o Copilot ma su su un secondo monitor o schermo nascosto e, usando auricolari invisibili collegati a un complice o a un assistente vocale, dettano le domande per avere le risposte. Alcuni, fingono problemi tecnici per prendersi del tempo, così da usare l’AI senza farsi vedere.
Un altro modo per “barare” in senso lato è automatizzare completamente la candidatura, usando GPT per scrivere lettere motivazionali personalizzate o strumenti che generano CV perfetti con le parole chiave giuste per superare i filtri ATS.
AI che adatta il profilo LinkedIn o risponde automaticamente ai recruiter.
Come scoprono se qualcuno sta barando
Ma ricorrere all’intelligenza artificiale per barare ai colloqui di lavoro funziona davvero? A breve termine, alcuni riescono a superare i primi step. Ma nella maggior parte dei casi chi ricorre a questi mezzi per compensare la mancanza di conoscenze e competenze viene scoperto. Specie nei colloqui tecnici dal vivo, quando devono spiegare perché hanno preso una decisione piuttosto che un’altra oppure fanno pause lunghe o esitazioni innaturali, come se stessero leggendo o cercando la risposta altrove.
Inoltre, un altro campanello d’allarme è che spesso usano termini tecnici perfetti, ma non li sanno contestualizzare e, nella maggior parte dei casi, si rifiutano di condividere lo schermo.
Infine, anche quando riescono a superare le varie fasi di selezione, non reggono nei primi giorni di lavoro, dove si capisce subito se sono in grado o no.
Il futuro dei colloqui (e del lavoro)
Dove finisce la truffa e dove inizia l’efficienza? Come possiamo distinguere chi usa l’AI come supporto e chi la usa come stampella per coprire le proprie mancanze? Forse il punto non è vietare l’uso dell’AI, ma capire come integrarla eticamente nei processi di selezione. Alcune aziende stanno già sperimentando nuovi approcci: test a casa con uso consentito di AI, seguiti da una discussione tecnica per verificare la comprensione reale del lavoro svolto. Oppure colloqui in presenza, per osservare meglio il comportamento del candidato.
Ma la vera rivoluzione sarà culturale: smettere di cercare il clone perfetto e iniziare a valutare la capacità di ragionamento, adattamento e collaborazione.
Nel futuro del lavoro, scrivere codice sarà forse meno importante che capirlo. E saper usare l’AI bene, con responsabilità e trasparenza, sarà il nuovo metro di giudizio. Fingere di essere bravi non è mai stato così facile – eppure, alla lunga, non paga. Perché se l’AI può aiutarti a entrare, è solo la tua intelligenza a farti restare.