L'Italia resta indietro sull'AI: solo l'8,2% delle imprese la adotta
L'Italia resta indietro sull'intelligenza artificiale: ecco quali opportunità economiche, lavorative e di sviluppo si stanno perdendo. Il report di Confindustria.

Mentre l’intelligenza artificiale (AI) cambia il volto delle economie più avanzate, l’Italia rischia di rimanere indietro.
I dati contenuti nell’ultimo rapporto di Confindustria, pubblicato il 19 giugno 2025, fotografano un Paese che fatica a tenere il passo della rivoluzione tecnologica. Solo l’8,2% delle imprese italiane con almeno 10 addetti dichiara infatti di utilizzare almeno una tecnologia basata sull’AI.
Una cifra che, se da un lato rappresenta una ripresa rispetto al calo del 2023, dall’altro conferma quanto la strada da percorrere sia ancora lunga e accidentata.
La diffusione dell’intelligenza artificiale in Italia, cosa dicono i dati
Nel 2021, secondo l’indagine Istat “Imprese e ICT”, il 6,2% delle imprese italiane impiegava soluzioni di intelligenza artificiale per almeno una delle sette funzioni aziendali analizzate. Sembrava l’inizio di una crescita promettente. Ma il 2023 ha segnato un passo indietro: la percentuale è scesa al 5%, complice una combinazione di ostacoli ben noti.
I costi di implementazione elevati, la cronica carenza di competenze digitali e l’incertezza normativa hanno rallentato l’entusiasmo iniziale. Un fenomeno da non sottovalutare se si considera che proprio in quello stesso periodo, l’AI generativa faceva irruzione sulla scena globale, portando con sé nuove opportunità ma anche nuovi interrogativi.
Nel 2024, finalmente, si è registrata un’inversione di tendenza: la quota di imprese che utilizza l’AI è salita all’8,2%. Un dato che, pur segnando un progresso rispetto al biennio precedente, resta decisamente insufficiente se confrontato con i benchmark europei.
Italia in coda all’Europa
Il confronto con gli altri Paesi europei è impietoso. L’Italia si colloca ancora nelle ultime posizioni, lontana dalle performance di Germania, Francia o dei paesi scandinavi, dove la percentuale di imprese che impiegano l’intelligenza artificiale in modo strutturato supera già il 20% in alcuni casi. Questo ritardo si traduce in una minore competitività, in una produttività stagnante e in un divario tecnologico che rischia di ampliarsi con il tempo.
La ripresa del 2024, infatti, si fonda su una base ancora troppo fragile. Non si tratta solo di adottare una nuova tecnologia: è necessario integrarla nei processi aziendali, ridefinire ruoli, riorganizzare le funzioni e — soprattutto — investire sulle persone.
Dove si usa (e dove no) l’intelligenza artificiale in Italia
La fotografia settoriale offerta dal report evidenzia una situazione disomogenea. Alcuni comparti si stanno muovendo, anche con decisione. Il settore delle telecomunicazioni, ad esempio, è in testa: nel 2024 il 27,6% delle imprese dichiara di utilizzare l’AI in almeno un processo aziendale. A seguire, la fabbricazione di apparecchiature elettroniche (15,7%) dimostra un buon grado di penetrazione, segnale di una certa maturità digitale.
Molto più indietro, però, sono altri settori cruciali per l’economia italiana, come la moda e il tessile, dove solo il 4,6% delle imprese impiega tecnologie basate su AI. Una percentuale che fa riflettere, considerando il ruolo strategico di queste industrie nel nostro export e nella nostra identità produttiva.
Il quadro diventa ancora più interessante se si guarda alle funzioni aziendali in cui l’AI viene applicata. L’indagine ISTAT 2021-2024, richiamata nel rapporto, mostra che l’impiego è più frequente in attività come la gestione della produzione, il controllo qualità, la logistica e il marketing predittivo. Tuttavia, l’adozione resta per lo più parziale e sperimentale: nella maggior parte dei casi, le imprese impiegano l’intelligenza artificiale per una sola funzione, raramente per due o tre. Questo dimostra che si è ancora lontani da una vera trasformazione digitale diffusa e sistemica.
Perché le imprese non adottano l’AI?
Le ragioni alla base del ritardo italiano sono molteplici. La prima è strutturale: la composizione del tessuto produttivo italiano è dominata da piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, con risorse limitate e una governance poco strutturata. In questo contesto, affrontare l’adozione di tecnologie avanzate è percepito come un salto nel vuoto.
Il secondo motivo è culturale: la diffidenza verso l’innovazione, unita alla scarsa propensione al rischio, frena la sperimentazione. Le imprese temono i costi nascosti, l’inefficacia dei risultati, la difficoltà di gestire strumenti di cui non si conoscono le reali potenzialità.
Infine, vi è un ostacolo formativo e normativo. La carenza di competenze tecniche, la difficoltà nel trovare personale qualificato e il timore di violare regole poco chiare (come quelle sull’uso etico dei dati, o sulla responsabilità in caso di errore) contribuiscono al rallentamento.
Una potenzialità ancora tutta da esprimere
Eppure, il potenziale dell’AI per il sistema produttivo italiano è enorme. Il rapporto Confindustria lo ribadisce: se adeguatamente compresa e applicata, l’intelligenza artificiale può rappresentare un fattore abilitante della competitività, della sostenibilità e della resilienza aziendale. Può ottimizzare le catene del valore, personalizzare l’offerta, ridurre i costi, prevenire guasti e migliorare la qualità del lavoro.
Per cogliere questi benefici, tuttavia, serve una strategia nazionale chiara, che accompagni le imprese nella transizione. Occorrono incentivi economici per l’adozione delle tecnologie, investimenti mirati nella formazione e nella ricerca, strumenti semplificati di accesso all’innovazione per le PMI. Ma serve anche un’azione culturale, capace di mostrare che l’AI non è una minaccia ma una risorsa. E che restare indietro, in questo caso, significa uscire dalla competizione globale.