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Google dichiarata monopolista: che succede ora

Per mantenere il suo monopolio Google ha pagato decine di miliardi ad Apple, Samsung, Verizon e altre aziende

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Per la prima volta nella sua storia, Google è stata riconosciuta da un giudice come monopolista nel mercato della ricerca e in quello della pubblicità online. Il giudice in questione si chiama Amit Priyavadan Mehta, ha 53 anni ed è in forze al tribunale distrettuale del Distretto di Columbia, cioè di Washington, la capitale politica degli Stati Uniti.

La causa è stata gestita da questo tribunale perché a denunciare Google è stato il Dipartimento di Giustizia del Governo degli Stati Uniti, che ha ottenuto una sentenza storica: Google ha violato la seconda sezione dello Sherman Act, legge del 1980 che dice cosa è monopolio, in USA, e cosa non lo è.

Google monopolista: la sentenza

Il giudice Mehta non ha accolto completamente le tesi dell’accusa, rifiutando alcuni passaggi dell’argomentazione del Governo.

Tuttavia, ha stabilito che Google è di fatto monopolista nel mercato delle ricerche online generiche, e lo è anche in quello della pubblicità online testuale, cioè dei link sponsorizzati che appaiono tra un risultato di ricerca e l’altro.

Alphabet, casa madre del famoso motore di ricerca ha in parte ottenuto, e di sicuro ha mantenuto negli anni, questa posizione dominante anche pagando aziende come Apple, affinché scegliesse Google come provider di ricerca predefinito sugli iPhone, i Mac e gli altri prodotti della mela morsicata.

Stessa pratica anche per Samsung, Verizon e altre big della tecnologia e delle telecomunicazioni. A nulla è servito scoprire, nel corso del processo, che Apple riteneva Google talmente superiore a Microsoft Bing e agli altri motori di ricerca che non l’avrebbe comunque sostituito a nessun prezzo.

Cosa cambia ora

Nell’immediato, dopo questa sentenza, non cambia nulla. Ma in prospettiva potrebbe cambiare moltissimo, sia per Google che per altri giganti tech.

Siamo ancora nella prima fase del processo e Google può fare appello, mentre al giudice Mehta spetta ora formalizzare gli obblighi tramite i quali Google può rimediare alla sua posizione dominante.

Alphabet potrebbe essere costretta allo “spezzatino“, cioè a smembrare il gruppo vendendo alcune branche affinché, ad esempio, la proprietà di Google Ads (che gestisce la pubblicità online) sia diversa da quella di Google Search (il motore di ricerca vero e proprio).

Questo potrebbe portare anche ad una minore interconnessione tra i vari servizi, con un effetto pratico per l’utente molto simile a quello che stanno sperimentando i cittadini europei da quando sono entrati in vigore i due regolamenti DSA e DMA.

Cosa cambia per gli altri

Tra le misure che il giudice Mehta molto probabilmente chiederà ci sarà quella di interrompere l’enorme flusso di denaro che ogni anno si muove dalle casse di Alphabet a quelle di Apple, Samsung, Verizon e altre aziende affinché Google rimanga il motore di ricerca preferito.

Si parla di cifre importanti: la sola Apple riceve quasi 20 miliardi di dollari l’anno da Google, a fronte di un fatturato complessivo di circa 385 miliardi. In pratica il 5% di quanto guadagna Apple ogni anno proviene da Google.

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