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C'è un problema con la lava dopo l'eruzione del vulcano in Islanda: cosa sta succedendo

Gli esperti continuano a essere in allarme: dopo l'eruzione del vulcano i Islanda i problemi potrebbero aumentare. E le maggiori criticità riguardano il controllo della lava

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Come se non bastasse il dover affrontare un vulcano in piena attività, attualmente la situazione in Islanda sembra star drasticamente peggiorando. Per chi non lo sapesse Fagradalsfjall, il vulcano sito sulla penisola di Reykjanes a pochi passi dalla cittadina di Grindavík, ha eruttato dopo mesi di allerta e dopo aver causato delle conseguenze estreme, fra cui crepe profonde e tremori della terra in città.

La notizia dell’eruzione, seppur spaventosa, doveva in qualche modo portare sollievo: terminate le colate, tutto doveva tornare alla normalità. Ma le cose non stanno così, in primis perché Fagradalsfjall non sembra intenzionato a fermarsi e poi perché le autorità islandesi si stanno ritrovando a fronteggiare delle enormi quantità di lava dirette proprio verso Grindavík, apparentemente inarrestabili e destinate a danneggiare case e importanti infrastrutture.

Cosa succede a Grindavík?

L’enorme mare di lava in Islanda sta portando le autorità islandesi a valutare un piano per pompare dell’acqua che dovrebbe rinfrescare e deviare il flusso. Questo metodo è stato già usato in passato, precisamente nel 1973 e in seguito a un’altra eruzione, e, ai tempi, permise alle autorità e ai residenti di rallentare e controllare la diffusione della lava. Ma esistono ancora altri metodi di gestione, come la perforazione delle camere magmatiche per degassarle o la manipolazione delle emissioni atmosferiche di zolfo.

Tutte queste tecniche rientrano nel campo della geoingegneria vulcanica, che, per altro, potrebbe anche essere usata per precedere e controllare le eruzioni più problematiche. Proprio drenare il gas dalle camere magmatiche o manipolare le emissioni di zolfo potrebbe, in qualche modo, mettere a tacere alcuni vulcani. Ma attenzione: gli esperti non sono del tutto convinti che sia la strada giusta.

I vulcanologi sono infatti estremamente cauti nel pensare di adottare la geoingegneria, perché anche se potrebbe limitare i danni a posteriori non ci sono abbastanza studi per garantire che siano risolutive e che escludano conseguenze negative involontarie, che, paradossalmente, includono la possibilità di rendere ancora più probabile un’eruzione.

Esempi di geoingegneria, successi e problematiche

Come abbiamo già accennato, le geoingegneria potrebbe essere una soluzione sia a quelli che sono i problemi di gestione delle conseguenze dell’eruzione sia a tutto ciò che la precede. La sua applicazione ha dei precedenti: per esempio il 21 agosto 1986 sul lago Nyos nel Camerun nord-occidentale, un’eruzione vulcanica uccise 1.746 persone e 3.500 capi di bestiame e, in seguito alla tragedia, scienziati e ingegneri fecero partire delle azioni di drenaggio per evitare il verificarsi di una nuova eruzione controllando i livelli di gas CO2.

Nella stessa Islanda le autorità hanno tentato di dirigere i flussi di lava utilizzando cumuli di roccia, deviando il corso naturale e ancora oggi sono moltissimi i tentativi di “intercettare” le azioni vulcaniche. Purtroppo, però, non tutte riescono alla perfezione, ed è esattamente questo il problema. Per esempio, sul monte Kelud in Indonesia sono stati creati dei tunnel attraverso i crateri, sempre per drenare un vulcano che nel 1919 uccise più di 5.000 persone con una mortale colata di lava.

Queste operazioni hanno sì limitato alcuni effetti collaterali, ma hanno anche creato dei danni geologici importanti: il lago presente ai piedi del Kelud è diventato ancora più profondo e le esplosioni successive, che sono comunque naturalmente avvenute, per certi versi sono diventate più complesse da gestire per via delle difficoltà a raggiungere il fondo delle acque e per il fatto che i gas, coinvolgendo proprio queste ultime, hanno creato degli altrettanto effetti letali e pericolosi.

La geoingengeria applicata a Fagradalsfjall

La gestione della lava non sarebbe l’unico vantaggio della geoingneria correttamente applicata ai vulcani, ma la strada per raggiungere i necessari livelli di preparazione è ancora lunga. Sulle pagine del The Guardian, per esempio, il vulcanologo Michael Cassidy spiega che nel caso del vulcano Fagradalsfjiall occorrerebbero conoscenze, competenze e tecnologie che vanno ben oltre alla preparazione attuale, ma che una volta acquisite permetterebbero, se non di fermare, almeno di controllare l’eruzione del vulcano islandese.

«Sarebbe una vera impresa – dice Cassidy – perché si tratta di un’eruzione a fessura, su una vasta area, con un enorme volume di magma. Ma se riuscissimo ad approfondire ulteriormente, se riuscissimo ad avere ciò che ci serve per usare la geoingegneria vulcanica in assoluta sicurezza e senza temere effetti collaterali, molte delle problematiche più difficili o spaventose da affrontare diventerebbero più che controllabili». Insomma, non resta che attendere che la scienza vada avanti. E, nel frattempo, avere fiducia su coloro che tengono attentamente sotto controllo i vulcani.

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