Il deserto è vivo: un nuovo studio rivela che le dune "respirano"
Il deserto è molto più vivo di quel che sembra: una ricerca lunga vent'anni rivela che la sabbia del deserto "respira come un organismo"
I deserti possono sembrare inerti e senza vita, ma sono molto più che vivi. Inizia così il comunicato della Cornell University che illustra la nuova scoperta, appena pubblicata sulla rivista Journal of Geophysical Research nella sezione Earth Surface.
Si tratta dei risultati di una ricerca iniziata più di vent’anni fa, che grazie all’ausilio di particolari strumenti progettati appositamente per lo scopo, è riuscita oggi a calcolare le piccolissime quantità di umidità trattenute dalla sabbia, e dimostrare che i deserti “respirano”.
La vita del deserto
Le dune crescono e si muovono e, secondo alcune recenti ricerche, interagiscono tra di loro nel corso della loro migrazione. Ma il deserto potrebbe essere ancora più vitale di così: il nuovo studio guidato da Michel Louge della Cornell University dimostra che la sabbia “respira aria umida”.
La ricerca mostra per la prima volta come il vapore acqueo riesca a penetrare le polveri e i granelli di sabbia del deserto: le speciali sonde progettate da Louge hanno permesso di calcolare la porosità della sabbia e la quantità d’aria contenuta all’interno delle dune.
Tutto inizia 40 anni fa, quando il professor Louge, che non studia i deserti ma si occupa di ingegneria aerospaziale, decide di studiare un sistema di sonde in grado di misurare gli stati della materia con un’accuratezza ancora non disponibile con gli strumenti tradizionali.
Nascono così le sonde cosiddette “capacitive”, che usano diversi sensori per registrare una gran quantità di dati, dalla concentrazione dei solidi alla velocità dell’acqua, con una precisione senza uguali. Vengono testate prima sulle nevi dei ghiacciai, per calcolare la probabilità di formazione delle valanghe, e da vent’anni sono in uso nello studio dei deserti.
“Il futuro della Terra, se continuiamo così, è un deserto” spiega Louge; l’avanzare della crisi climatica rende sempre più necessario conoscere il deserto, per poterci vivere e magari per imparare a trarne le risorse necessarie alla sussistenza degli umani del futuro.
Il deserto è il futuro
Erano i primi anni del Duemila quando Louge avviò la collaborazione con Ahmed Ould el-Moctar, dell’Università di Nantes, che prevedeva l’uso delle probe capacitive per lo studio del deserto. Lo scopo era indagare la quantità di umidità delle dune del deserto, per comprendere meglio il processo di desertificazione che interessa aree sempre più vaste del pianeta.
Le sonde, in vent’anni di rilievi tra i deserti del Qatar e della Mauritania, hanno rivelato che la sabbia del deserto è porosa, e che una piccola quantità d’aria riesce a penetrare all’interno delle dune.
“Il vento soffia sulla duna e come risultato crea uno squilibrio nella pressione locale” spiega Louge “che letteralmente forza l’aria a entrare e uscire dalla sabbia. La sabbia respira, esattamente come respira un organismo”.
È questa sorta di respirazione che permette ai microbi di resistere e prosperare nelle profondità di queste aride e cocenti distese di sabbia, e probabilmente questi organismi hanno un ruolo centrale nel mantenere la stabilità delle imponenti dune desertiche.
La ricerca ha anche evidenziato che la superficie del deserto scambia con l’atmosfera meno umidità del previsto, e che l’evaporazione dell’acqua dai singoli granelli di sabbia si comporta in maniera simile a una lenta reazione chimica.