Olimpiadi invernali, la Terra potrebbe diventare troppo calda per i Giochi
Entro il 2080 gli atleti potrebbero non avere più una località adatta e sicura: la Terra potrebbe diventare troppo calda per le Olimpiadi invernali
Ci siamo, manca pochissimo: il quattro febbraio inizieranno le Olimpiadi invernali a Pechino, e si concluderanno il 20 febbraio. Un evento molto atteso per migliaia di atleti da tutto il mondo.
Ma anche un evento che richiede – a differenza delle Olimpiadi “estive” – un elemento fondamentale: il clima deve essere favorevole. E in questo caso, favorevole vuol dire freddo. Deve esserci la neve. Ma, come sappiamo, di neve ce n’è sempre meno. Vuol dire che le Olpimpiadi invernali sono a rischio?
Il rischio caldo per le Olimpiadi invernali
Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Taylor & Francis ci dice che il rischio di non avere più delle Olimpiadi invernali esiste: senza drastiche riduzioni delle emissioni di gas serra, il cambiamento climatico minaccia i futuri Giochi Olimpici invernali perché le loro località sarebbero troppo calde per ospitare gli eventi.
In particolare, se la produzione di emissioni continua costante sulla traiettoria che sta seguendo in questi anni, entro il 2080 – quindi a quattordici edizioni delle Olimpiadi invernali da oggi – tutte le città che nel passato hanno ospitato un’edizione non sarebbero in grado di rifarlo. Tutte tranne una: Sapporo, in Giappone. E se fa caldo al Circolo Polare Artico, immaginate a Torino, che le ha ospitate nel 2006, o a Milano, dove saranno nel 2026.
Secondo i paradigmi usati oggi dagli organizzatori dei Giochi, sei città sarebbero considerate “marginali”, e le altre “inaffidabili”: non avrebbero cioè le condizioni giuste per mantenere la neve e soprattutto la sicurezza degli atleti.
Possiamo salvare le Olimpiadi invernali?
Secondo i ricercatori, non tutto è perduto. Secondo Daniel Scott, scienziato dell’Università di Waterloo che ha curato questo studio, “se il mondo cominciasse a seguire i dettami dell’Accordo di Parigi del 2015 non saremmo così a rischio di non avere più i Giochi”.
Non ci sarebbero, in questo caso, grandi cambiamenti tra le regioni affidabili e inaffidabili: rimarrebbero le stesse che abbiamo oggi.
Ma, a Pechino e nel resto delle località dove gli atleti si allenano e gareggiano, qualche difficoltà c’è già. Atleti e allenatori si sono accorti degli effetti che il cambiamento climatico sta avendo sul loro sport.
Molte di queste persone sono “del mestiere” da 30 anni, oggi come allenatori e prima magari come atleti. Hanno viaggiato in giro per il mondo e sanno di cosa parlano: molte delle competizioni a cui hanno partecipato nel passato non avvengono più con la stessa regolarità di prima, proprio perché non ci sono le condizioni climatiche.
Come in molti altri campi, anche in quello degli sport invernali la tecnologia gioca un ruolo fondamentale per “sorvegliare” e in qualche modo tentare di mitigare il cambiamento climatico, in piccolo. Uno degli esempi più classici è la neve artificiale sparata da cannoni, che sostituisce la neve naturale. Che è anche più solida, si ghiaccia più velocemente e di conseguenza diventa una superficie più veloce, scivolosa e soprattutto rischiosa: gli infortuni su neve artificiale sono molto più gravi che sulla neve naturale – si parla addirittura di ossa rotte.
E poi – ovviamente – fa molto più caldo. Durante le Olimpiadi invernali del 2014 a Sochi, in Russia, gli sciatori sudavano come sudano i maratoneti che corrono quando ci sono 32°. Ma la situazione è difficile anche per le Olimpiadi estive: se quelle di Tokyo sono state le più ecosostenibili, sono anche state tra le più calde e umide.
Di conseguenza, il futuro delle Olimpiadi invernali potrebbe essere al chiuso. O, addirittura, non esserci del tutto.