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SCIENZA

Resti e antiche scritte emersi in un porto: qui si facevano riti sacri

Archeologi e ricercatori si sono imbattuti in una strana tavoletta e hanno rinvenuto una serie di resti, che hanno rivelato il modus operandi di un antico rituale: quello del culto egiziano legato a Horus

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Uno strano culto dedicato a Horus: ecco cosa sappiamo di questo rituale egizio Fonte foto: University of Chicago

La storia degli esseri umani, diciamolo, è ricca di sfumature davvero molto particolari. Usi e costumi che oggi potremmo ritenere macabri o inaccettabili erano invece d’uopo per le antiche popolazioni che volevano accattivarsi il favore degli dei, ed è proprio uno di questi usi e costumi che, oggi, sta facendo chiacchierare gli scienziati dopo il ritrovamento di alcuni resti accompagnati da delle particolari scritte.

In realtà, il ritrovamento è anche in qualche modo divertente: è, infatti, una specie di avviso che ricorda di non svolgere una determinata pratica all’interno di uno specifico luogo. Una sorta di cartello di divieto che, però, è talmente tanto particolare da restituire le antiche abitudini di una delle popolazioni più importanti al mondo: quella egizia.

Gli scavi e l’identificazione del luogo sacro

Per capirci un po’ di più dobbiamo partire da una precisazione: gli scienziati che hanno ritrovato il “cartello” stavano lavorando all’interno del porto ellenistico-romano di Berenike, sulla costa egiziana del Mar Rosso. Questo sito archeologico ricco di reperti è sotto osservazione speciale dal 2019, quando è stato rinvenuto il cosiddetto Complesso Settentrionale, un luogo che, secondo gli esperti, era dedicato ai culti religiosi.

Sia l’architettura che i vari oggetti antichi ritrovati all’interno, infatti, facevano pensare a uno spazio dedicato a dei riti propiziatori, con un enorme tavolo in pietra dedicato probabilmente alla raccolta e all’esposizione delle offerte e una grande struttura quadrata in marmo e gesso, identificata come un altare. Secondo gli archeologi, lo spazio era un santuario, per altro di origine paleocristiana, che il popolo egizio avrebbe consacrato al dio falco Horus, una delle più importanti divinità del pantheon egiziano.

Il dio falco, il cartello e i resti

Il recente ritrovamento delle antiche scritte, ovvero del cartello di divieto succitato, confermano quanto detto. La frase incisa sulla tavoletta rinvenuta nelle scorse settimane è chiara e perentoria: «È improprio bollire una testa di falco qui dentro». Ebbene sì: in passato i sacrifici animali (e in alcuni casi anche quelli umani) erano una prassi e, nel caso del culto di Horus, a subirne le conseguenze erano proprio i falchi.

Nell’antico Egitto esistevano diverse specie di falchi e, in particolare, quello più bersagliato dai sacrifici era il falco pellegrino, considerato l’animale più apprezzato dal dio. Poco distante dalla tavoletta/divieto, infatti, i ricercatori hanno anche trovato resti animali: ossa di pesci e mammiferi, ma soprattutto (per un totale del 64% su tutti i campioni) resti di tre specie di falco: quello pellegrino, ma anche il falco sacro e il gheppio comune. Buona parte di questi uccelli sono stati decapitati, mentre uno è stato rinvenuto intatto e accuratamente riposto sotto un vaso.

I riti sacri degli antichi egizi

Per i ricercatori i resti e la tavoletta sono estremamente importanti. Non è chiaro se gli uccelli fossero selvatici o allevati a scopo di sacrificio, ma a quanto pare era considerato poco appropriato effettuare il processo di bollitura all’interno del Santuario, cosa che ricorda i riti e le tradizioni religiose di moltissimi altri popoli antecedenti e seguenti alla civiltà egizia.

Inoltre, apre interessanti interrogativi sulle credenze legate al dio Horus e su quale sia l’eredità lasciata a chi si è insediato nel porto negli anni a seguire. Un vero e proprio punto di partenza, che nella sua semplice essenza di “avvertimento” si pone come un nuovo punto di domanda storico.

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