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Come la struttura della vegetazione delle foreste sta cambiando e perché non è un buon segno

Rilevamenti della NASA attestano che la struttura delle foreste boreali sta cambiando, comprendendo piante sempre più alte. Gli aspetti negativi e positivi della situazione.

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Struttura delle foreste Fonte foto: NASA/Katie Jepson

Tra le conseguenze del cambiamento climatico sembra esserci anche un visibile mutamento della struttura delle foreste.

Cosa dicono i ricercatori sul nuovo paesaggio che si sta sviluppando nelle aree a nord del mondo? Purtroppo niente di buono.

Come sta cambiando la struttura delle foreste

Secondo uno studio della NASA, il riscaldamento globale sta trasformando radicalmente la vegetazione nelle regioni settentrionali, rendendo i paesaggi della tundra caratterizzati da piante più alte e verdi: il mutamento dovrebbe compiersi entro il 2100. Questo fenomeno è attribuito alla comparsa crescente di alberi e arbusti in aree che, un tempo, erano dominate da erba e muschi.

L’analisi, basata su milioni di dati raccolti dalle missioni satellitari ICESat-2 e Landsat, rivela che il cambiamento è già in corso e proseguirà nei prossimi decenni. Le foreste boreali, che coprono vaste aree dell’Alaska, del Canada, della Scandinavia e della Russia, sono caratterizzate dalla presenza di sempreverdi, come il pino e l’abete. Questi boschi, situati tra i 50 e i 60 gradi di latitudine nord, sono delimitati a settentrione dalla tundra, cioè un bioma più freddo caratterizzato da una stagione di crescita breve, il quale finora ha impedito lo sviluppo di grandi alberi.

Tuttavia, con l’aumento delle temperature globali, questa distinzione tra biomi sta sfumando: in sostanza, la tundra gradualmente acquisisce peculiarità simili alla struttura delle foreste con una maggiore presenza di vegetazione più alta.

Le conseguenze del cambiamento

Gli scienziati della NASA hanno utilizzato i dati satellitari per monitorare i cambiamenti della vegetazione a partire dal 1984, confermando che la crescita arborea in queste regioni segue i modelli previsti per il futuro. Le previsioni indicano un aumento significativo dell’altezza e della densità degli alberi e degli arbusti nelle aree della tundra e nelle foreste di transizione, cioè quelle zone dove tundra e foresta boreale si incontrano.

Questo processo, che durerà almeno fino alla fine del secolo, potrebbe avere conseguenze sia positive che negative per l’ambiente. Da un lato, l’aumento della vegetazione potrebbe contribuire a ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2) attraverso la fotosintesi, con gli alberi che assorbirebbero più CO2 e la immagazzinerebbero nel loro tessuto e nel suolo. Questo potrebbe in parte compensare le emissioni di CO2 causate dalle attività umane, rallentando l’accumulo di gas serra nell’atmosfera.

Purtroppo i ricercatori evidenziano anche un rischio rilevante: la vegetazione fitta e scura potrebbe assorbire più luce solare, causando lo scongelamento del permafrost. Questo rilascerebbe grandi quantità di carbonio e metano, gas che sono stati intrappolati nel suolo per migliaia di anni, potenzialmente accelerando il cambiamento climatico.

Per comprendere meglio tali alterazioni, i ricercatori hanno utilizzato avanzate tecnologie di telerilevamento e modelli climatici. La missione ICESat-2, in particolare, utilizza un sistema laser per misurare l’altezza della vegetazione e delle altre caratteristiche della superficie terrestre. Questi dati, combinati con quelli raccolti da Landsat, sono stati fondamentali per modellare gli scenari futuri e prevedere come la struttura delle foreste boreali potrebbe evolvere in risposta ai cambiamenti climatici.

Il risultato è un quadro multiforme e in evoluzione del paesaggio boreale, dove l’interazione tra l’aumento della vegetazione e il cambiamento delle condizioni climatiche potrebbe avere implicazioni profonde sia per l’ecosistema, sia per il clima globale. Gli scienziati sottolineano l’importanza di comprendere questi processi per migliorare gli scenari climatici futuri e prepararsi alle prossime trasformazioni ambientali.

In definitiva, sembra proprio che il riscaldamento globale stia già rimodellando la vegetazione delle regioni settentrionali e questi cambiamenti continueranno a intensificarsi nei prossimi decenni. La sfida sarà gestire i loro effetti contrapposti, bilanciando la crescita della vegetazione con la necessità di mantenere stabile il clima globale.

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