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Antitrust italiano contro Apple: accuse pesantissime

Accuse specifiche e circostanziate: Apple dovrà spiegare all'Antitrust italiano che non è vero che abusa della sua posizione dominante nel mercato delle app

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La privacy da una parte, il mercato dall’altro. In mezzo le Autorità italiane che, ultimamente, stanno prestando particolare attenzione all’operato e al modo di fare business dei colossi mondiali del digitale e, evidentemente, non hanno molte remore a portarli sul banco degli imputati. Il Garante Privacy lo ha dimostrato con TikTok, Meta e ChatGPT, mentre l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) lo sta dimostrando in queste ore con l’istruttoria appena avviata nei confronti di Apple. L’accusa non è affatto da poco: presunto abuso di posizione dominante nel mercato delle app.

AGCM contro Apple: perché

Chiunque abbia usato anche per pochissimo tempo un iPhone, un iPad o qualunque altro prodotto di Apple si sarà certamente reso conto che, a parte qualche app molto specifica e quelle “universali” come WhatsApp, Facebook e TikTok, si finisce quasi sempre ad usare più agevolmente le app di Apple stessa che non quelle di terze parti.

Ma questa è una sensazione, non un fatto. Secondo l’AGCM, invece, i fatti che influenzano il mercato delle app sono altri e sono ben circostanziati: la gestione dell’App Tracking Trasparency e la condivisione dei dati degli utenti per fini pubblicitari.

App Tracking Transparency

A partire da iOS 14 Apple ha introdotto nel suo sistema operativo mobile il meccanismo della “App Tracking Trasparency“, che consiste in un “prompt” che le app di terze parti devono mostrare all’utente ad ogni installazione.

Questo “prompt” in pratica è un messaggio in cui le app dichiarano a quali dati accederanno, se useranno la fotocamera, se potranno leggere i file e sapere la posizione dell’utente etc etc.

Secondo l’AGCM, però, “Apple impone soltanto ai concorrenti l’utilizzo di un prompt di richiesta del consenso in posizione di maggior risalto rispetto a quello dell’opzione per negare il consenso e utilizza una formulazione linguistica dissuasiva del tracciamento“.

In pratica è come se Apple sconsigliasse, implicitamente, di usare app di terze parti, perché questo prompt lo devono mostrare solo gli sviluppatori di terze parti e non Apple stessa, per le sue app preinstallate.

L’AGCM lo dichiara apertamente: “da aprile 2021 Apple ha adottato una politica sulla privacy, per i soli sviluppatori terzi di app, più restrittiva rispetto a quella che la società applica a sé stessa“.

I dati e la pubblicità

Il secondo fronte di attacco dell’AGCM nei confronti di Apple è quello della raccolta dati per fini pubblicitari. Ormai è noto un po’ a tutti che le app gratuite “campano” di raccolta di dati degli utenti, che vengono usati per selezionare le pubblicità più interessanti da mostrare durante il funzionamento dell’app stessa.

Più dati l’app raccoglie e più la pubblicità è coerente con i gusti dell’utente, che farà più probabilmente clic facendo entrare più denaro nelle casse dello sviluppatore dell’app.

Questi dati devono essere messi a disposizione degli investitori pubblicitari, per permettere loro di scegliere dove mettere i propri soldi, su quali app puntare.

Ma, secondo l’AGCM, anche in questo caso ci sarebbe una disparità di trattamento tra i dati provenienti dagli sviluppatori terzi e quelli provenienti dalle app di Apple.

Per pubblicare pubblicità dentro le app di sviluppatori terzi, infatti, si usa SKAdNetwork, un’interfaccia di programmazione “che misura il successo di una campagna pubblicitaria mantenendo la privacy“. Per farsi pubblicità sulle app di Apple, invece, si usa Apple Ads Attribution, che offre dati molto più completi ed efficaci e, soprattutto, permette di farsi pubblicità nella parte superiore della pagina delle ricerche all’interno dell’App Store.

Di conseguenza, secondo l’Autorità “la presunta condotta discriminatoria di Apple può causare un calo dei proventi della pubblicità degli inserzionisti terzi, a vantaggio della propria divisione commerciale“.

AGCM Vs Apple: che succede ora

Apple ha ora 60 giorni per chiedere un incontro e spiegare all’Autorità che, in realtà, non sta manipolando il mercato e non sta sfruttando la sua posizione dominante. Tutto il procedimento, che vedrà presumibilmente più incontri nel corso dei prossimi mesi, deve comunque concludersi entro il 3 maggio 2024.

Nel frattempo, però, non tira una buona aria per Apple (e per le big tech in generale). Non solo in Europa iniziano a farsi sentire gli effetti delle direttive DMA e DSA, che hanno come scopo principale quello di rompere gli ecosistemi chiusi (come quello di Apple), ma c’è anche un fattore in più.

Nella sua istruttoria, infatti, l’Antitrust italiano avanza un dubbio pesantissimo: “devono essere considerati gli effetti che la condotta di Apple può produrre aumentando la fidelizzazione dei clienti verso app scaricabili esclusivamente tramite il sistema iOS. Ciò è infatti idoneo a determinare un impatto positivo sulle quote dell’impresa Apple nel mercato della fornitura di dispositivi mobili. In tale mercato, l’offerta è rappresentata dai produttori di dispositivi premium – che si distinguono da quelli di base – e la domanda è quella degli utenti finali“.

Tradotto: creando app esclusive per iOS e che non dialogano con quelle Android, Apple costringerebbe gli utenti a restare su iOS e a comprare altri iPhone.