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SCIENZA

Un enorme buco nel ghiaccio antartico: risolto un mistero lungo 50 anni

Un team di scienziati potrebbe avere risolto un mistero lungo 50 anni: adesso sappiamo come si è aperto l'enorme buco in mezzo al ghiaccio antartico.

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Forse gli scienziati hanno finalmente risolto un mistero lungo 50 anni. Negli anni Settanta era stato osservato per la prima volta in Antartide un enorme buco nel ghiaccio che non compare sempre ma che, incredibilmente, tra il 2016 e il 2017 aveva raggiunto le sue massime dimensioni, quasi due volte quelle del Galles. Le ragioni di questo fenomeno erano rimaste ignote, almeno finora: in un nuovo studio pubblicato su Science Advances abbiamo una spiegazione.

Il nuovo studio sull’enorme buco nel ghiaccio antartico

Il nuovo studio dal titolo Ekman-driven salt transport as a key mechanism for open-ocean polynya formation at Maud Rise è stato pubblicato il 1 maggio 2024 sulla rivista Science Advances.

Non è raro che si formino dei buchi di dimensioni più o meno evidenti nel ghiaccio marino antartico. Sono noti come polynya e generalmente si trovano vicino alla riva, utilizzati da animali come le foche o le balene per riprendere fiato salendo in superficie. Sono più rari, invece, al largo delle coste antartiche ma comunque possibili. A catturare l’attenzione degli scienziati è stato proprio uno di questi ultimi, apparso per la prima volta sull’altopiano Maud Rise nel Mare di Weddell nel 1974.

Allora aveva le dimensioni della Nuova Zelanda, poi è stato nuovamente osservato tra il 1975 e il 1976 per tornare anni dopo, leggermente più piccolo. A un certo punto gli scienziati si erano convinti che fosse un fenomeno passeggero ma con grande sorpresa per 50 anni la polynya è ricomparsa ciclicamente, raggiungendo tra il 2016 e il 2017 le dimensioni maggiori. Il grande buco nel ghiaccio in questione rappresenta, di fatto, uno dei fenomeni più longevi in Antartide e per mezzo secolo gli scienziati si sono chiesti a cose fosse dovuto. Forse adesso abbiamo una risposta.

Risolto il mistero della polynya di Maud Rise

Secondo il nuovo studio, la polynya (o polinia) di Maud Rise sarebbe il risultato di diversi fattori concomitanti che ciclicamente si allineano innescando il fenomeno. Utilizzando una combinazione di immagini satellitari, strumenti autonomi galleggianti, foche che indossano cappelli per il monitoraggio e modellazione computazionale, il team di ricerca è giunto alla conclusione che l’enorme buco sia provocato anche dall’azione del cosiddetto “Ekman transport” o “Spirale di Ekman”.

“L’Ekman Transport era l’ingrediente essenziale mancante necessario per aumentare l’equilibrio del sale e sostenere la miscelazione di sale e calore verso l’acqua superficiale”, ha spiegato l’oceanografo Alberto Naveira Garabato dell’Università di Southampton nel Regno Unito. In sostanza uno dei fattori che avrebbe contribuito all’allargamento del buco nel ghiaccio antartico sarebbe stata una corrente circolare attorno al Mare di Weddel che ha provocato una risalita di acqua calda ad alta concentrazione salina. Cosa che spiegherebbe uno scioglimento così evidente del ghiaccio.

“Ma lo scioglimento del ghiaccio marino porta ad un rinfrescamento dell’acqua superficiale, che a sua volta dovrebbe fermare la miscelazione. Quindi, affinché la polynya possa persistere, deve verificarsi un altro processo. Ci deve essere un ulteriore apporto di sale da qualche parte”, si legge nello studio. Da dove proviene questo sale? La risposta è da ricercare proprio nel cosiddetto “Ekman transport”: i vortici generati dalla corrente di Weddell che scorre intorno a Maud Rise trasportano il sale fino alla cima dell’altopiano, mentre il vento soffia sulla superficie dell’acqua creando una resistenza. È qui che entra in gioco la spirale di Ekman: l’acqua viene trascinata e deviata lateralmente come la scia di una barca e, quando si sposta, risale altra acqua dal basso per compensare.

La polynya di Maud Rice, quindi, è tanto persistente quanto forte è la corrente di Weddel che innesca il fenomeno Ekman, impedendo al ghiaccio di congelare.

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