Identificate nuove galassie dalla Nasa, scoperta una "popolazione" cosmica
La nascita della Via Lattea, del Sole, della Terra e la nostra stessa vita dipendono da alcune galassie "invisibili", in grado di reionizzare l'universo

Il telescopio spaziale James Webb ha identificato decine di galassie piccolissime. Sono tutte protagonista della “ristrutturazione cosmica”. È grazie a loro se l’universo è divenuto quello che conosciamo oggi.
Le galassie che hanno cambiato tutto
Per lasciare un segno indelebile nella storia dell’universo, non servono dimensioni incredibili. Lo dimostra una nuova ricerca guidata da Isak Wold, della Nasa. Ha sfruttato i dati raccolti dal telescopio spaziale James Webb nell’ambito del progetto Uncover.
Il team scientifico è stato in grado di osservare decine di minuscole galassie in fase di formazione stellare intensive. Nonostante le loro dimensioni ridotte, emettevano enormi quantità di luce ultravioletta. Qualcosa di bastevole a provocare una sorta di “resyling” del cosmo.
Il merito va anche alla lente gravitazionale generata dall’ammasso di galassie di Abell 2744. Quello che viene chiamato “Pandora’s Cluster”. Ha amplificato la visibilità di questi oggetti lontanissimi. Di fatto la combinazione di strumenti a infrarossi (NirCam e NirSpec) ha consentito al telescopio di identificare 83 galassie in fase di starburst. Risalgono a circa 800 milioni di anni dopo il Big Bang, quando l’universo aveva appena il 6% della sua età attuale.
Le galassie che hanno ionizzato l’universo
Nel corso del primo miliardo di anni, l’universo era immerso in una sorta di “nebbia”. Quest’ultima era composta da idrogeno neutro. Col tempo però questa nebbia si è dissipata. L’idrogeno è divenuto ionizzato e la luce ha potuto viaggiare liberamente.
Un processo fondamentale, che porta il nome di reionizzazione. Rappresenta una delle fasi cruciali della storia del nostro cosmo. Per anni gli scienziati si sono chiesti chi fosse il principale responsabile, ipotizzando grandi galassie, buchi neri supermassicci o galassia di piccole dimensioni.
Le nuove osservazioni del telescopio spaziale James Webb sembrano finalmente poter fornire una risposta. Le piccole galassie starburst avevano le caratteristiche ideali per il compito. Raccoglievano infatti meno gas neutro, facilitando l’uscita della luce ultravioletta. Le loro esplosioni di formazione stellare, inoltre, scavavano dei canali che agevolavano ulteriormente questa fuga.
Stando a James Whoads, tra gli autori dello studio, tutto questo ha avuto un impatto chiave nel convertire l’idrogeno e nell’aprire la strada alla “trasparenza dell’universo”. Ciò è confermato anche dal rilevmento di un particolare segnale, che viene emesso dall’ossigeno doppiamente ionizzato. È la “green line”, che ha consentito di riconoscere i processi energetici in corso, confermando l’età e la natura di queste galassie.
Le conseguenze per la Terra
Eventi avvenuti miliardi di anni fa e a miliardi di anni luce da noi. Nonostante ciò, però, la loro comprensione equivale a capire come si è formato il nostro stesso ambiente cosmico. Tutto ciò che conosciamo, inclusi pianeti, stelle e galassie, si è evoluto grazie a quella specifica fase di reionizzazione.
L’universo è divenuto trasparente grazie a miriadi di galassie, invisibili fino a ieri. Sapere tutto ciò vuol dire anche poter ricostruire la catena di eventi che ha portato alla formazione della Via Lattea, del Sole, della Terra e della vita come la conosciamo.