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Google ci ha sempre mentito?

Da anni Google e la comunità SEO giocano a guardie e ladri, ma ora sono stati pubblicati migliaia di documenti che raccontano come lavorano le guardie

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google tablet Fonte foto: silvabom / Shutterstock

Da circa 25 anni c’è qualcosa che tutti coloro che hanno un’azienda, un sito Web o, semplicemente, hanno un profilo pubblico, vorrebbero ottenere: “essere primi su Google“. Da altrettanto tempo è nata una vera e propria disciplina (chiamarla scienza sarebbe errato), finalizzata proprio a portare in cima ai risultati di ricerca un sito Web: la SEO, Search Engine Optimization.

In tutti questi anni il rapporto tra Google e chi si occupa di SEO è diventato una sorta di guardie e ladri, con la SEO che scopriva piccoli e grandi meccanismi di ottimizzazione dei siti e Google che sparigliava le carte, modificando i suoi algoritmi (sempre più complessi). A volte facendo anche dei disastri.

Adesso, però, proprio da una delle massime autorità in fatto di SEO arriva una notizia che, per molti, è una conferma: sono trapelati online diversi documenti interni di Google, per un totale di oltre 2.500 pagine, contenenti alcuni dettagli su come Google sceglie “chi è primo su Google“.

Primi su Google: i documenti segreti

Rand Fishkin, fondatore ed ex CEO di Moz e oggi a capo di SparkToro, è uno che la SEO l’ha fatta per 15 anni ed è stato a lungo un punto di riferimento nella comunità.

Pochi giorni fa Fishkin ha pubblicato sul blog della sua società un post dal titolo “Una fonte anonima ha condiviso migliaia di documenti riservati sulle API di ricerca di Google; chiunque si occupi di SEO dovrebbe leggerli“.

Si tratta di documenti molto tecnici e difficili da decifrare per chi non si intende di programmazione, ma non per Fishkin che li ha letti e ha scoperto che molte delle cose che Google ha raccontato negli anni sul suo algoritmo non sono esattamente corrette.

Da sempre, ad esempio, chi fa SEO sospetta che Google usi i dati raccolti da Chrome durante la navigazione degli utenti per stabilire quali siti siano più validi. Un meccanismo del genere è sempre stato negato da Big G, che altrimenti dovrebbe anche spiegare quando e come usa i dati degli utenti.

Ma dai documenti trapelati emergono anche alcune funzioni che sembrano proprio fare ciò che Google nega: leggere alcuni dati raccolti da Chrome per decidere quali risultati mostrare in cima alla pagina dei risultati.

Altro tema caldissimo, negli anni, è stato quello della cosiddetta “EEAT“: experience, expertise, authoritativeness, and trustworthiness. Cioè esperienza, expertise, autorevolezza e affidabilità di coloro che pubblicano un contenuto.

Per anni gli esperti di SEO hanno ipotizzato che Google avesse una sorta di lista di siti autorevoli e che, se un contenuto era pubblicato da uno di questi siti, allora era praticamente scontato che fosse tra i primi risultati, mentre se lo stesso contenuto veniva pubblicato da un sito giudicato con meno EEAT, allora scivolava in seconda pagina.

Ma Google ha sempre negato ciò, dicendo che la relazione tra EEAT e risultati di ricerca era indiretta: chi ha tanta EEAT è più bravo, scrive contenuti migliori e per questo va in cima ai risultati.

Dai documenti, invece, sembra emergere un meccanismo di raccolta dei dati sull’autore di ogni contenuto pubblicato, specialmente per le notizie pubblicate dai giornali online, che lascerebbe presupporre qualcosa di diverso da ciò che dichiara Google.

La difesa di Google

Google ha confermato che i documenti sfuggiti ai suoi server sono originali, ma ha anche precisato che sono stati mal interpretati.

Secondo Big G, infatti, da quei documenti emergerebbero solo informazioni parziali e fuori contesto, insufficienti per capire come funzionano gli algoritmi del motore di ricerca.

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