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Pezzotto: Mediaset fa bloccare Telegram, che sta succedendo

I principali gruppi televisivi che operano in Spagna hanno ottenuto dall'Audiencia Nacional il blocco preventivo di Telegram: nessuna collaborazione contro il pezzotto

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Mediaset, Atresmedia, Movistar ed Egeda, cioè i principali gruppi televisivi privati presenti in Spagna, hanno chiesto e ottenuto che la Audiencia Nacional (uno dei tribunali nazionali spagnoli) blocchi la piattaforma di Telegram in tutto il territorio del Paese. Milioni di spagnoli, per questo, da circa 24 ore non possono più usare Telegram né dall’app né da Web.

Alla base del blocco, l’eccessiva quantità di materiale pirata protetto da copyright che viene distribuito tramite i canali Telegram a centinaia di migliaia di utenti. Una delle tante forme di “pezzotto“, un fenomeno che non è per nulla solo italiano. E, infatti, il blocco di Telegram in Spagna interessa, e molto, anche noi italiani.

Spagna: la TV contro Telegram

Il blocco di Telegram in Spagna deriva da un procedimento a carico della piattaforma che è iniziato nel 2023, quando Mediaset España, Atresmedia, Movistar (gruppo Telefónica) ed Egeda (una sorta di SIAE spagnola), hanno sporto denuncia all’Audiencia per l’enorme quantità di materiale protetto da diritto d’autore che circola in Spagna su Telegram.

Telegram, però, ha sede legale a Dubai ed è registrata nelle Isole Vergini Britanniche, in pratica in un paradiso fiscale. I giudici spagnoli, quindi, hanno inviato alle autorità delle Isole Vergini diverse richieste di informazioni, per venire a capo dell’identità degli utenti che hanno caricato il materiale pirata. Ma non hanno ricevuto alcuna risposta.

Nemmeno Telegram ha voluto rispondere all’Audiencia Nacional che, per questo motivo, ha deciso di bloccare l’intera piattaforma a scopo precauzionale. Ciò vuol dire che 8,5 milioni di utenti non possono più usare Telegram in Spagna, fino a quando la corte non deciderà di sospendere il “ban“.

Decisione esagerata?

In Spagna, come era prevedibile, la decisione dell’Audiencia ha scatenato un acceso dibattito. Fernando Suárez, presidente dell’Associazione Spagnola degli Ingegneri Informatici, ha affermato che “E’ come decidere di chiudere un’intera provincia del nostro Paese per un caso di traffico di droga o di rapina avvenuto nel territorio“.

L’opinione di Suárez, e di molti altri in Spagna e altrove, è che il blocco di un’intera piattaforma di comunicazione, usata da milioni di persone che con il reato contestato (in questo caso la pirateria audiovisiva) non c’entrano nulla, è qualcosa di assolutamente sproporzionato.

Anche perché l’anonimato garantito da Telegram viene sfruttato non solo dai criminali del pezzotto, ma anche da giornalisti, dissidenti politici, sindacalisti e altre persone che hanno bisogno di comunicare in modo segreto per proseguire la propria delicata attività.

E in Italia?

Il fatto che ci sia anche Mediaset tra le aziende che hanno dato inizio a questa causa contro Telegram in Spagna, ci fa capire che il gruppo televisivo italiano è assolutamente intenzionato a portare avanti, in ogni modo, la difesa dei propri interessi economici danneggiati dalla pirateria.

E’ molto chiaro che, dopo anni di tolleranza e maglie larghe nei confronti della pirateria, adesso (almeno in Europa) l’aria è decisamente cambiata e che si stia andando verso la tolleranza zero sul pezzotto.

In Spagna un tribunale blocca Telegram, in Italia la piattaforma Piracy Shield blocca le CDN che trasmettono il pezzotto (e purtroppo ci vanno di mezzo anche siti al 100% legali), e la Francia ha persino multato per 250 milioni di euro Google, per aver usato senza permesso contenuti protetti da copyright per addestrare la sua AI Gemini.

Anche in Italia Telegram viene usata per distribuire direttamente materiale protetto da copyright, e per mettere in contatto i clienti del pezzotto con i gestori delle piattaforme illegali di streaming.

Non è da escludere, quindi, che nel nostro Paese prima o poi Telegram divenga oggetto di indagine e subisca forti pressioni. Probabilmente non da parte di un giudice, visti i tempi molto lunghi della giustizia in Italia, ma da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM).

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