Plastica, enzimi speciali potrebbero aiutarci col problema dei rifiuti
Un batterio si nutre del PET, scomponendolo nelle sue molecole di base: il problema dei rifiuti potrebbe essere risolto dai batteri
Lo sappiamo, la plastica danneggia l’ambiente. Soprattutto la plastica che non viene correttamente riciclata, il più delle volte finisce nelle nostre acque. Le spiagge di tutto il mondo sono piene di rifiuti di questo materiale, così come gli stomaci delle tartarughe e di altri animali marini, e nel mezzo dell’Oceano Pacifico c’è un’isola di spazzatura talmente grande da essere diventata l’habitat di alcuni animali.
Ma, oltre ai robot, potremmo avere un altro alleato per cercare di risolvere questo enorme problema: i micro-organismi.
Il problema dei rifiuti
L’uomo produce una quantità di plastica enorme. Nel 2020, l’anno più recente per il quale abbiamo dati, a livello globale sono state generate 367 milioni di tonnellate di plastica a livello globale. Un leggero calo rispetto al 2019, ma dovuto probabilmente alla pandemia: la produzione di plastica infatti aumenta costantemente dagli anni ’50.
La gran parte di questa produzione diventa spazzatura. Nel 2016 il mondo ha generato 242 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, secondo la Banca Mondiale. 10 di questi milioni di tonnellate finiscono ogni anno nei nostri oceani. Oltre ai pericoli della plastica stessa, bisogna sottolineare che questo materiale contiene molti additivi che si disperdono nell’acqua, e gli scienziati non sono ancora certi di tutti gli effetti che questo ha sul nostro ecosistema.
Si tratta soprattutto di plastica monouso, quindi di uno spreco: per produrla è necessario estrarre combustibili fossili, e vengono emesse grandi quantità di gas a effetto serra che contribuiscono al riscaldamento globale.
La soluzione è produrre meno plastica, ma soprattutto trovare un modo per gestire quella che circola. E qui entrano in gioco i micro-organismi.
Gli enzimi mangia plastica
Alcuni microbi hanno sviluppato la capacità di “mangiare” alcune materie plastiche, scomponendole nelle loro molecole di base. Questi piccoli organismi potrebbero presto giocare un ruolo chiave nel ridurre i rifiuti di plastica e costruire un’economia più sostenibile.
Un team di scienziati dell’Istituto di Tecnologia di Kyoto, in Giappone, ha analizzato sedimenti e acque reflue contaminate dal PET, un tipo di plastica. Ha scoperto che sul materiale vive e cresce un ceppo di batterio, chiamato Ideonella sakaiensis 201-F6. Non solo: il batterio potrebbe usare il PET come principale fonte di nutrimento, degradandolo nel processo.
Riesce a farlo grazie alla produzione di due enzimi: il primo rompe le lunghe molecole di PET in molecole più piccole chiamate MHET. Il secondo lavora le MHET, producendo glicole etilenico e acido tereftalico, le due sostanze chimiche alla base del PET, che quindi è stato completamente disintegrato.
Un altro team di scienziati ha deciso di approfittare di questa scoperta: hanno prodotto una struttura tridimensionale della Ideonella sakaiensis 201-F6, modificando l’originale. In questo modo hanno creato enzimi più efficienti nella degradazione del PET.
Gli scienziati non contano di fermarsi qui, però: vogliono usare questi enzimi (e possibilmente altri simili) su scala industriale, per degradare la plastica che altrimenti verrebbe lasciata nel nostro ecosistema. “Abbiamo ricevuto un finanziamento dal governo inglese” ha spiegato John McGeehan, dell’Università di Portsmouth, che ha guidato questo team. “E con questo finanziamento abbiamo aperto un centro di ricerca specialistico”.
Il lavoro di questi scienziati sta iniziando a portare frutti: il team ha creato un “super enzima” che ha reso la degradazione del PET sei volte più veloce. Insomma, c’è speranza per un futuro con meno plastica negli oceani.