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Hanno scoperto come e dove è più probabile che si verifichino frane: le regioni a rischio

Come scoprire se un territorio è a rischio frane? Ecco un nuovo studio che consente di prevenire fenomeni di questo genere

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Una nuova ricerca ha dimostrato che la predisposizione di un territorio alle frane dipende anche dalla sua complessità geologica. Scendiamo nel dettaglio, di seguito, così da spiegare cosa ciò significhi e perché è importante per la prevenzione.

Cosa rende un territorio a rischio frane

Le frane sono fenomeni distruttivi, spesso connessi a eventi meteorologici estremi, ma non solo. Un nuovo studio, condotto da un team cinese, guidato da Yifan Zhang, dell’Istituto di Scienze Ambientali e dei Rischi Montani di Chengdu, propone un metodo differente per la valutazione della vulnerabilità del territorio. Il tutto basato sulla complessità geologica.

L’analisi è stata pubblicata sulla rivista Bulletin of Engineering Geology and the Environment. Viene introdotto un indice di complessità geologica, che tiene conto di quattro fattori cardine:

  • complessità litologica, numero di diversi tipi di rocce presenti in una stessa area;
  • complessità tettonica, densità di faglie e discontinuità nella crosta terrestre;
  • sismicità, probabilità di attività sismica;
  • complessità strutturale, livello di disordine nella disposizione delle strutture rocciose.

Applicando tale indice a una particolare regione dell’Himalaya orientale, in Tibet, i ricercatori sono stati in grado di osservare che le aree con valori più elevati erano quelle con il maggior numero di frane registrate. Una correlazione molto interessante che, se confermata in altri contesti, potrebbe rivoluzionare il modo in cui valutiamo il rischio idrogeologico.

Prevenire e pianificare

Il modello proposto rappresenta un passo avanti verso un’analisi più multifattoriale del rischio frane. Secondo la tradizione scientifica, gli studi si concentrano su fattori climatici e morfologici, come intensità delle precipitazioni e pendenza del suolo.

Seguendo questo nuovo approccio, invece, si integrano componenti geologiche profonde, fino a questo punto spesso trascurate. Nel caso in cui l’indice dovesse dimostrarsi valido anche in regioni meno sismiche, potrà divenire uno strumento cardine per la pianificazione territoriale. Di fatto potrebbe aiutare a identificare anticipatamente le aree a rischio e ad adottare misure preventive adeguate. Il tutto anche in contesti apparentemente meno esposti al rischio.

Gli autori sottolineano però come la sola geologia non possa spiegare tutto. Si ha necessità di un’analisi integrata, che consideri anche:

  • clima;
  • attività umana;
  • caratteristiche topografiche.

In questo modo si può creare una mappa di rischio davvero efficace. Le attività di urbanizzazione, ad esempio, possono aumentare il rischio in maniera esponenziale. Ciò nel caso in cui non vengano valutate in relazione alla stabilità del suolo.

L’indice di complessità geologica non è solo uno strumento tecnico. Rappresenta anche una nuova lente attraverso cui leggere il paesaggio. Comprendere la “storia interna” delle montagne e delle colline, fatta di scontri tettonici, stratificazioni e fratture, aiuta a prevedere come e dove potrebbero cedere in futuro.

L’aumento degli eventi meteo estremi, connessi al cambiamento climatico, così come l’espansione delle aree urbane verso zone montuose o collinari, così come riuscire a prevedere il rischio frana, diventa una priorità assoluta. Strumenti come questo modello potrebbero essere cruciali per proteggere vite umane e infrastrutture.