La storia del suono misterioso che da 10 anni si sente nel profondo dell'Oceano
Gli scienziati hanno avuto la conferma che il "biotwang", un suono misterioso proveniente dall'oceano, è prodotto da alcune specie di balene
Un suono misterioso proveniente dagli abissi oceanici, chiamato “biotwang”, è stato finalmente decifrato dopo dieci anni d’indagini.
Questo segnale particolare, che risuonava intorno alla Fossa delle Marianne, è stato inizialmente captato da alcuni microfoni subacquei.
Il suono misterioso proveniente dagli abissi
Uno strano suono, descritto come un grugnito profondo seguito da un eco squillante e meccanico, ha sorpreso i ricercatori degli oceani, che non riuscivano a identificarne l’origine da oltre dieci anni. I primi a registrarlo furono alcuni scienziati che lo ribattezzarono “biotwang”. Tra loro c’era Lauren Harrell, studiosa dei dati presso Google Research: è lei a descriverlo come un suono con una componente a bassa frequenza, simile a un lamento, seguito da un rimbombo ad alta frequenza, che ha simpaticamente paragonato ai rumori prodotti dall’astronave della serie Star Trek.
Nel 2014, il rumore fu captato da alcuni veicoli sottomarini autonomi nella Fossa delle Marianne, ma nonostante gli sforzi iniziali, non fu possibile individuarne la fonte. Alcuni ricercatori ipotizzarono che potesse essere stato prodotto da una balena, poiché questi animali a volte emettono suoni simili a quelli presenti nei film di fantascienza.
Tuttavia, per molti, compresi gli stessi studiosi, risultava difficile credere che fosse davvero un suono animale, il quale avrebbe richiesto di essere captato esattamente nello stesso momento in cui l’esemplare viene avvistato. Alla fine, capire di cosa si trattasse, è stata un’impresa per la quale c’è voluto molto tempo, impegno e, secondo Ann Allen, oceanografa della NOAA, anche una buona dose di fortuna.
La svolta è avvenuta proprio quando Allen e Harrell, insieme con altri ricercatori della NOAA, hanno intrapreso uno studio su alcune balene nelle vicinanze delle Isole Marianne. Durante le osservazioni, il team ha avvistato la misteriosa balena di Bryde per dieci volte e, in nove di queste occasioni, è stato anche captato il “biotwang”. Tutto ciò ha portato alla conclusione che il suono fosse emesso proprio da questa specie di balena. Per confermare ulteriormente la scoperta, gli esperti hanno consultato gli archivi, contenenti anni di dati audio registrati con gli idrofoni subacquei. Però, le banche dati della NOAA contano oltre 200.000 ore di registrazioni, rendendo l’analisi manuale impossibile.
L’intervento dell’intelligenza artificiale
A questo punto, è entrato in gioco il contributo della tecnologia avanzata. Allen, seguendo un suggerimento di suo padre, ha deciso di contattare Google per ottenere un aiuto nell’analisi. Google, così, ha messo a disposizione strumenti d’intelligenza artificiale in grado di trasformare i dati audio in immagini, chiamate spettrogrammi. Successivamente, sono intervenuti algoritmi per identificare specifiche frequenze attraverso il riconoscimento delle rappresentazioni.
Grazie a tali strumenti, lo studio ha dimostrato che il “biotwang” è effettivamente associato alle balene di Bryde nell’Oceano Pacifico occidentale. L’esame ha confermato che le balene osservate facevano parte di una popolazione distinta e ha tracciato i loro spostamenti nell’oceano durante le varie stagioni e negli anni successivi.
Un simile risultato sarebbe stato irraggiungibile in precedenza, poiché gli scienziati non erano in grado di distinguere tra le diverse popolazioni di questa specie di balena. Inoltre, durante la stagione di El Niño, nel 2016, che ha causato un cambiamento nella distribuzione del cibo di queste balene, ci sono stati molti più rilevamenti del “biotwang”, anche nelle isole Hawaii nord-occidentali, un’area in cui le balene di Bryde si avventurano solo in determinate condizioni climatiche. Insomma, i loro spostamenti potrebbero essere influenzati, almeno in parte, dagli spostamenti delle loro prede, che varia a seconda delle condizioni ambientali.
Stando alle affermazioni Olaf Meynecke, ricercatore esperto di balene all’Università di Griffith, la ricerca in questione rappresenta solo l’inizio di ciò che potrebbe essere scoperto grazie alla combinazione di AI e bio-acustica. Una volta identificati i movimenti delle balene, sarà possibile collegare i dati con i fattori climatici e ambientali, supportando così gli sforzi di conservazione. Secondo Allen, con il peggioramento del cambiamento climatico, e l’impatto che potrebbe avere su fenomeni come El Niño e La Niña, questi animali potrebbero dover percorrere distanze maggiori e fare più fatica per trovare cibo.
Nonostante le potenzialità della tecnologia, Meynecke avverte che gli algoritmi utilizzati possono cercare solo le frequenze che conoscono già. Tuttavia, il fatto che certi strumenti siano open-source offre la possibilità ad altri scienziati di usarli per esplorare ulteriormente il linguaggio delle balene. Per troppo tempo siamo stati disconnessi da questo incredibile mondo acustico sottomarino: adesso è il momento di colmare la distanza.