I chatbot hanno sviluppato la "teoria della mente": di cosa si tratta realmente
Quali sono le capacità mentali dei chatbot? Gli scienziati se lo stanno ancora chiedendo. E intanto un'intelligenza artificiale è riuscita a sviluppare una "teoria della mente"
E se le macchine potessero intercettare i nostri pensieri, potessero anticiparli, potessero leggerli? Sì, è vero, sembra la trama di uno dei libri di Isaac Asimov, ma la verità è che i costanti progressi dell’intelligenza artificiale stanno portando gli scienziati a indagare proprio su questo argomento. In fondo, il deep e il machine learning sono strumenti incredibilmente accurati, in grado di arrivare a un grado di comprensione davvero elevatissimo delle intenzioni umane.
Dall’intenzione alla formulazione del pensiero, come ben sanno i neuroricercatori, il passo è davvero breve. Ed è per questo che, senza andare alla ricerca di alcun tipo di sensazionalismo, un team di scienziati ha dichiarato che sembra che alcuni chatbot abbiano in effetti sviluppato la “teoria della mente”, diventando molto abili a inquadrare ciò che ci passa per la testa. Ma cosa sta succedendo, con esattezza?
La teoria della mente e l’AI
Ma che cos’è la teoria della mente? Si tratta di un modello formulato nel 1978 dagli psicologi David Premack e Guy Woodruff volto a illustrare come gli uomini interagiscano tra loro analizzando gli altri, giudicandoli e cercando di comprendere il loro comportamento. Questa teoria, enunciata e dimostrata nell’ambito della psicologia cognitiva, spiega che tutti gli esseri umani (fatta eccezione per coloro che soffrono di alcuni disturbi del neurosviluppo o della personalità), sono in grado di attribuire a sé stessi e agli altri una serie di stati mentali, tra cui desideri, emozioni, credenze, intenzioni.
Potremmo definire la teoria della mente come massima espressione dell’intuizione: in diversi casi per mezzo dell’osservazione e del nostro sistema di conoscenze ed esperienze, “leggiamo la mente” degli altri (non come sostengono sedicenti sensitivi, naturalmente) e grazie alle loro affermazioni e al loro comportamento sappiamo cosa vogliono fare, cosa vogliono dire e come si sentono senza neanche bisogno di chiederlo. Ora, ciò che affascina (e un po’ preoccupa) gli scienziati è che diverse applicazioni basate sull’intelligenza artificiale sembrano in grado di fare la stessa cosa.
I chatbot che leggono la mente
A scoprire che alcuni chatbot hanno il potere di “leggere la mente” è stato Michal Kosinski, uno psicologo della Stanford Graduate School of Business che ha preso in analisi soprattutto i modelli linguistici di grandi dimensioni come GPT-4 di OpenAI. Kosinski è partito da qualcosa che tutti ormai sappiamo: queste intelligenze artificiali sono in grado di suggerire la parola giusta in base all’input che suggeriamo. Così, lo studioso ha provato a fare degli esperimenti, chiedendo a diversi chatbot di analizzare una serie di dati per anticipare le sue azioni.
Kosinski ha inserito fra i suoi prompt diversi dati, fra cui le caratteristiche facciali di chi parla (forma del naso, angolazione della testa, espressione emotiva), un contesto e, naturalmente, frasi o parole specifiche. Ciò che ha ottenuto è stata proprio una “lettura a freddo” per mezzo della quale i chatbot sapevano perfettamente cosa passava per la mente del ricercatore, che ha dichiarato che a suo parere questo è solo il primo passo e che presto l’intelligenza artificiale sarà in grado di anticiparci in qualsiasi situazione e con successo.
Intelligenza artificiale e lettura del pensiero
Kosinski ha usato, oltre a GPT-4, altri nove modelli linguistici di grandi dimensioni, ottenendo sempre gli stessi esiti. Ma attenzione: i suoi studi non possono ancora essere dati per assodati né corrispondono a una verità assoluta. Infatti, dopo la pubblicazione dei suoi risultati, altri scienziati si sono cimentati in esperimenti simili che hanno però avuto risvolti differenti. In particolare Tomer Ullman, uno psicologo dell’Università di Harvard, ha dimostrato che bastano anche pochi piccoli aggiustamenti per cambiare completamente le risposte generate.
«Abbiamo provato a descrivere un oggetto come trasparente – ha detto Ullman – ma i chatbot non riuscivano a dedurre da sole che un essere umano può vederci dentro. Questo significa che per molti aspetti, all’intelligenza artificiale manca quella che è la conoscenza pratica. Sì, l’AI resta flessibile e versatile, oltre che deduttiva, ma continua a ragionare in astratto: dietro ogni entusiasmante innovazione c’è comunque qualcosa che manca».
Ci sarà mai, dunque, un nesso reale fra intelligenza artificiale e lettura del pensiero umano? Non possiamo dirlo con certezza e la comunità scientifica è ancora ampiamente spaccata in tal senso. L’unica cosa da fare, ancora una volta, è attendere nuovi risvolti e studi.