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I cibi a rischio estinzione in Italia: davvero potremmo non mangiarli più?

Quali sono i cibi della tradizione che rischiano l'estinzione? Ecco chi sono i contadini custodi che li stanno salvano

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Quando si parla di estinzione, il pensiero va immediatamente al mondo animale. Le azioni dell’uomo, di fatto, hanno un impatto evidente sugli habitat di tantissime creature in giro per il mondo.

Esistono però anche cibi a rischio estinzione. Sotto questo aspetto è di cruciale importanza il lavoro degli agricoltori “custodi”, che hanno portato a 1.650 il numero di Sigilli di Campagna Amica. Si parla di specialità della biodiversità a tavola salvate per il bene di tutti.

Cibi salvati, censimento 2024

Il censimento 2024, a cura dell’Osservatorio sulla biodiversità (istituito dal comitato scientifico di Campagna Amica), è stato presentato al Villaggio Coldiretti a Venezia. Ciò in occasione della mostra legata ai prodotti della biodiversità.

Esiste un gigantesco patrimonio della tradizione contadina italiana messo a rischio, anno dopo anno. Il ritorno in tavola è consentito, di fatto, dall’azione di 750 agricoltori “custodi”, che sono censiti dalla rete Campagna Amica/Terranostra. Stupisce rendersi conto di come il 56% sia rappresentato da giovani under 40. Il 15%, invece, è rappresentato da giovanissimi under 30.

Ecco le parole di Carmelo Troccoli, direttore di Fondazione Campagna Amica: “La difesa della biodiversità è il vero valore aggiunto delle produzioni agricole made in Italy, con un impatto importante anche sull’economia nazionale, a partire dal turismo. Investire sulla distintività è una condizione necessaria per le imprese agricole di distinguersi in termini di qualità delle produzioni e affrontare così il mercato globalizzato salvaguardando, difendendo e creando sistemi economici locali attorno al valore del cibo”.

Nuovi cibi salvati dall’estinzione

Sono svariate le specialità aggiunte al censimento e, dunque, salvate dalla sparizione dalle nostre tavole. Si parla ad esempio dei fiadoni (in dialetto abruzzese sono li fiadune). Si tratta di un prodotto da forno tipico, con forma similare a quella di un raviolo. La sfoglia esterna è preparata con un impasto di uova, olio, vino bianco e farina. Il ripieno contiene invece formaggio pecorino o ricotta.

Arriva invece dalla Basilicata il fagiolo bianco di Rotonda, mentre dalla Calabria viene il peperoncino Diavolicchio. L’elenco prosegue poi con il peperone Sciuscillone, varietà dolce e caratterizzata da una forma arcuata e affusolata.

Spazio poi alla pera Nobile di Parma, in Emilia-Romagna, che è una varietà molto antica e unica. Il Cuc di mont è invece un formaggio d’alpeggio del Friuli-Venezia Giulia. Prevede il mescolare il latte della mungitura della sera con quello del mattino, rigorosamente in una caldaia di rame sul fuoco a legna.

A rischio anche il farro del Pungolo di Acquapendente, in Lazio, che è un cereale simile al grano. Lo si coltiva in un’area molto limitata, pari a 3-4 ettari, soltanto da alcune aziende del Viterbese. In Liguria si tutela la tradizione dell’arancio Pernambucco, giunto nel Settecento dal Brasile. In Lombardia esiste invece la patata di Martinengo, recuperata negli anni 2000.

L’elenco è davvero ampio ed ecco altri esempi di “cibi salvati”:

  • Marche – Amaro Harmonico (2 componenti, tra erbe e fiori);
  • Molise – Treccia di Santa Croce di Magliano (formaggio a pasta filata);
  • Piemonte – Fagiolo dell’Occhio di Refrancore;
  • Puglia – Barattiere (ortaggio);
  • Sardegna – S’ozu casu (si ricava dalla panna di latte);
  • Sicilia – Limone Interdonato;
  • Toscana – Cipolla di Certaldo;
  • Trentino – Miele di Rododendro;
  • Umbria – Lenticche Castelluccio di Norcia;
  • Valle d’Aosta – Segale (per il Pan Ner);
  • Veneto – Pisello Verdone Nano (coltivazione recuperata negli ultimi anni).

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