Risolto il mistero della mummia del vicario ritrovata in Austria: imbalsamato in modo mai visto prima
Svelato il segreto della mummia del vicario in Austria: imbalsamato con un metodo unico, senza incisioni e con materiali sorprendenti
Per secoli ha sfidato il tempo nel buio silenzioso di una cripta di montagna, in un paesino austriaco: un fragile fantasma di pelle e ossa, un corpo lontano dalla vita, eppure sorprendentemente integro. Si tratta della mummia del vicario, che con la sua pelle ancora tesa, il tronco intatto e le mani incrociate sul petto come in preghiera, è stato a lungo ritenuto miracoloso.
Anno dopo anno si sono susseguite ipotesi sulle sue sorti. Si diceva che fosse morto di una malattia contagiosa, riesumato, poi risparmiato dalla putrefazione come un segno divino o che fosse stato persino avvelenato. Dopo decenni di voci, leggende e congetture, però, la scienza ha parlato: la conservazione di quel corpo, avvolto in secoli di mistero, è il risultato di un’operazione umana precisa, metodica e, fino ad ora, completamente sconosciuta.
La mummia del vicario e la sua storia
La prima immagine conosciuta della mummia del vicario risale al 1957, ma secondo antichi documenti il corpo era già nella cripta della chiesa di St. Thomas am Blasenstein a metà dell’Ottocento. Di chi si trattasse esattamente non era chiaro: alcuni pensavano che fosse un sacerdote, altri pensavano fosse un uomo di nobili origini, tale Franz Xaver Sidler von Rosenegg, ma mancavano le prove. Di certo c’era solo il corpo mummificato, incredibilmente conservato, esposto in una bara aperta nella piccola chiesa del villaggio.
Il mistero ha continuato a crescere di pari passo con la sua fama, fino a quando, complice il restauro della chiesa, il corpo è stato trasferito a Monaco di Baviera per essere sottoposto a un’indagine completa da parte di un team guidato dal professor Andreas Nerlich, docente di medicina legale all’Università Ludwig-Maximilians.
Insieme a lui si sono mossi radiologi, antropologi, conservatori, tossicologi. Non era un’operazione invasiva: niente manomissioni irreversibili, solo scienza di precisione. E così, tra tomografie computerizzate, datazioni al radiocarbonio e analisi dei tessuti, i dubbi sono stati dissipati.
Il mistero svelato
I risultati, pubblicati sulla rivista Frontiers in Medicine, non solo hanno confermato l’identità del defunto (che sì, era proprio il nobile Franz Xaver Sidler von Rosenegg), ma hanno anche rivelato che l’intera cavità addominale e pelvica è stata riempita con una miscela eterogenea di materiali: trucioli di legno di abete e pino, rametti spezzati, tessuti di lino e canapa, stoffe ricamate, perfino frammenti di seta.
Tutto ciò senza che il nobile von Rosenegg, vicario della parrocchia da 1740 fino alla morte (avvenuta nel 1746) avesse nessuna incisione visibile sull’addome, nessun taglio da autopsia. Com’è avvenuta, dunque, l’imbalsamazione? Semplice: attraverso il retto, con una pratica di cui non esistono precedenti documentati. L’ipotesi è confermata anche da una leggera dilatazione anale e da segni compatibili con una chiusura successiva, forse per evitare perdite di fluidi post mortem.
Un approccio inedito, ma pratico
L’analisi tossicologica ha aggiunto un altro tassello fondamentale: nei tessuti interni sono state rilevate concentrazioni elevate di zinco e rame, in particolare sotto forma di cloruro di zinco, un composto noto per le sue proprietà disidratanti e antibatteriche, usato ancora oggi per la conservazione dei cadaveri.
Lo zinco avrebbe agito dall’interno, accelerando l’essiccazione dei tessuti e ostacolando la proliferazione batterica. Una sorta di imbalsamazione “chimica” realizzata senza aprire il corpo, ma agendo in profondità e in modo mirato. Secondo i ricercatori, ci sono buone ragioni per pensare che questa procedura sia stata eseguita per motivi igienici, religiosi e forse anche logistici: il vicario era morto molto probabilmente per una tubercolosi polmonare avanzata, una malattia infettiva temuta all’epoca.
I segni lasciati nei tessuti polmonari e nelle cavità toraciche sono coerenti con un’infezione cronica che potrebbe aver causato un’emorragia letale. In un contesto di timore verso il contagio (non ancora legato alla teoria dei batteri, ma al concetto di “miasmi”) la conservazione rapida del corpo avrebbe avuto lo scopo di prevenire la diffusione del “male”.