Nuova scoperta su SIMP 0136, il misterioso pianeta fluttuante svela segreti sulle atmosfere aliene
Simp 0136 è un gigante gassoso solitario: ecco la definizione della sua complessa atmosfera in una nuova ricerca sorprendente
Simp 0136 non può essere definito un pianeta, non esattamente. La sua massa è pari a 13 volte quella di Giove e, di fatto, rappresenta il punto di collegamento tra un pianeta e una nana bruna. A circa 20 anni luce da noi, se ne sta tutto solo nel cosmo, sottoposto al rigido controllo a infrarossi del telescopio spaziale Webb. Quest’ultimo, analizzando due periodi di rotazione completi, che equivalgono a circa cinque ore, ha evidenziato una sorprendente variabilità nella composizione atmosferica.
L’isolamento di Simp 0136
Quando si parla di Simp 0136, si fa riferimento a un gigante gassoso decisamente particolare. A differenza di Giove e Saturno, infatti, se ne sta isolato, per così dire, verso la costellazione dei Pesci.
Non ha una stella intorno alla quale orbitare, anche se alcuni studi ipotizzano che proprio Simp possa essere la stella, considerando la sua massa imponente. Un gigante solitario, che fortunatamente elimina ogni forma di distrazione per le nostre strumentazioni, come fonti di luce nei “paraggi” che possano disturbare l’osservazione.
Per questo motivo molti telescopi hanno puntato lo sguardo in questa direzione, considerando anche la distanza non eccessiva dal nostro pianeta. Dallo spazio sono stati attivati Hubble e Spitzer e ora anche Webb, che ha collezionato con NirSpec migliaia di spettri da 0.6 a 5.3 micron. In seguito, durante la seconda rotazione, sono state acquisite centinaia di altre misure spettroscopiche, una ogni 19.2 secondi, sfruttando Miri, da 5 a 14 micron. È stato così scoperto un elemento peculiare rilevante. Simp vanta una varietà nella sua composizione atmosferica.
Lo studio di Simp
Il telescopio spaziale Webb ha raccolto centinaia di curve di luce. Ciò mostra come per ciascuna lunghezza d’onda la luminosità cambi man mano che l’oggetto ruota. Il team ha così sfruttato dei modelli atmosferici, al fine di comprenderne il motivo, individuando la regione atmosferica d’origine delle emissioni su differenti lunghezze d’onda.
Ecco le parole di Allison McCarthy, dottoranda presso la Boston University e prima autrice dello studio: “Differenti lunghezze d’onda forniscono informazioni sulle varie profondità dell’atmosfera. Siamo stati dunque in grado di capire che le lunghezze d’onda con forme delle curve di luce, che risultano più simili tra loro, sono riconducibili alle stesse profondità. Tutto ciò rafforza l’idea che a provocarle sia lo stesso meccanismo”.
Si evidenzia così un gruppo di lunghezze d’onda che ha origine in strati profondi dell’atmosfera. Qui potrebbero esserci nubi composte da particelle di ferro. Un altro gruppo, invece, proviene da nubi più alte, che gli esperti ritengono siano composte da grani di minerali silicati. Un terzo gruppo ha origine ad altissima quota, ben oltre le nubi, e pare seguire l’andamento dell’atmosfera.
Si aggiungono poi dei punti luminosi, che potrebbero essere collegati alle aurore, così come alla risalita di gas caldo da zone più profonde dell’atmosfera. Alcune curve di luce, però, non possono ancora essere spiegate, né dalla presenza di nuvole né dal variare della temperatura. Si evidenzia infatti un cambiamento che potrebbe essere dovuto alla presenza di sacche di monossido di carbonio e anidride carbonica nell’atmosfera. Al tempo stesso, però, non si esclude la possibilità che alla base ci siano reazioni chimiche che alterano l’atmosfera nel corso del tempo.