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SCIENZA

Un veicolo spaziale è arrivato sulla Terra: dove si è schiantato

Il satellite Rhessi è tornato sulla Terra in modo a dir poco "bruciante": entrato in contatto con l'atmosfera del pianeta, ha preso fuoco e si è schiantato. Eppure, qualcosa si è salvato

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Appassionati e studiosi di astrofisica e astronomia sanno bene che, nel corso degli anni, la Terra ha inviato in orbita centinaia di veicoli spaziali, al fine di sondare i misteri del cosmo. Tra questi veicoli, i satelliti artificiali sono quelli più comuni e, a dirla tutta, altrettanto comune è il loro rientro a casa. Ciononostante, può capitare che un ritorno alla base sia più interessante degli altri: un esempio? Quello di Rhessi.

Il veicolo spaziale Reuven Ramaty High Energy Solar Spectroscopic Imager (Rhessi, appunto) è rientrato nell’atmosfera terrestre pochissimi giorni fa dopo una permanenza in orbita di ben ventuno anni. E l’intero processo di “atterraggio” è stato monitorato con grande attenzione, visti i suoi risvolti a dir poco “brucianti”.

Il lancio e la storia del satellite

Come mai il rientro di Rhessi è stato così seguito e tenuto in considerazione? Semplice, perché questo satellite artificiale ha avuto una grandissima importanza per gli scienziati di tutto il mondo. Lanciato dalla NASA, che per il suo collocamento spaziale ha usato un razzo Pegasus XL della Orbital Sciences Corporation, Rhessi è arrivato in orbita nel 2002 “armato” di un unico strumento, un sensibilissimo spettrometro ad immagini, che aveva lo scopo di identificare, tracciare e visualizzare i picchi del ciclo solare.

Rhessi ha osservato attentamente tutti i brillamenti solari da una posizione specifica, un’orbita bassa. Da questa posizione, il satellite è stato in grado di restituire agli scienziati una prospettiva privilegiata che ha permesso di comprendere proprio come nascono e si evolvono le potenti esplosioni del nostro Sole. Prima della messa in orbita di questo satellite non erano state scattate immagini a raggi gamma né immagini a raggi X ad alta energia dei brillamenti solari.

La disattivazione e il rientro bruciante di Rhessi

Il satellite è stato ufficialmente disattivato nel 2018 quando, dopo lunghi anni a contatto con il magnetismo solare, non è stato più in grado di restituire dei dati utili. Il satellite è rimasto in orbita in maniera “naturale” e gli scienziati della NASA ne hanno osservato il moto, cercando di prevedere quando sarebbe rientrato. In effetti, Rhessi ha ritardato di qualche mese il suo ritorno, dato che era previsto per la fine del 2022.

Proprio questo ritardo ha però permesso agli scienziati di fare delle ipotesi sulla permanenza e sui movimenti dei veicoli spaziali nell’orbita bassa della Terra, fornendo nuove informazioni che saranno utili per i prossimi satelliti che si occuperanno di studiare il Sole. Alla fine, il 19 aprile alle 20.21 (EDT), Rhessi ha iniziato prima lentamente e poi sempre più velocemente a cedere alla forza di gravità.

La caduta del satellite è stata veloce e devastante: Rhessi pesava in tutto 300 chilogrammi e nel suo percorso, che lo ha portato a schiantarsi nel deserto del Sahara, a circa 21,3 gradi di latitudine nord e 26 gradi di longitudine est, si è praticamente disintegrato riducendosi a un mucchietto di poche (ma essenziali) componenti.

I resti del satellite e i suoi dati

Le componenti rimaste potrebbero essere determinanti per scoprire se Rhessi, pur non trasmettendoli più alla Terra, ha raccolto ulteriori dati nel corso della sua permanenza in orbita. Mentre attendevano il suo rientro, astronomi e astrofisici hanno passato al setaccio tutti i dati che permettono di studiare le particelle energetiche solari, di osservare varie dimensioni di bagliori e di indagare con più attenzione le conseguenze dei lampi dei raggi gamma sulla Terra, con grandi risultati.

Se Rhessi dovesse aver raccolto altri dati, la comunità scientifica potrebbe avere nuovi punti di partenza per approfondire la materia delle espulsioni di massa coronale e per conoscere meglio la fenomenologia delle tempeste solari. Durante la sua missione, Rhessi aveva già registrato più di 100.000 eventi legati ai raggi X: se ci fosse di più sarebbe davvero una bellissima sorpresa.