L’universo primordiale era cinque volte più lento rispetto al nostro: cosa vuol dire e perché succede
Nell'Universo Primordiale il tempo sembra dilatarsi: gli eventi si svolgono cinque volte più lentamente. Gli scienziati stanno indagando su questo fenomeno, che però è perfettamente spiegabile
C’era una volta… il nostro Universo. Da bravi appassionati del cosmo e delle scienze, sappiamo bene di essere circondati da qualcosa di antichissimo, misterioso e sconfinato e sappiamo anche che tutto ciò che c’è intorno a noi è sotto stretta osservazione da parte di scienziati ed esperti. Ebbene, di recente proprio un team di scienziati ed esperti ha deciso di analizzare in maniera più accurata che mai il nostro passato, posando gli occhi – metaforicamente – sull’Universo Primordiale.
Di cosa si tratta? Del nostro Universo nelle sue primissime fasi di vita, ricreato ad hoc dopo strettissime osservazioni di galassie, stelle e corpi celesti che, ancora oggi, ci raccontano la sua storia. E la sua storia è più che mai peculiare perché, secondo l’ultimo studio in merito, il tempo nel nostro passato era estremamente dilatato.
L’Universo primordiale e la dilatazione
A spiegare la dilatazione del tempo nell’Universo Primordiale è uno studio dell’Università di Sydney. Un gruppo di astrofisici, astronomi e matematici altamente specializzati, guidati dai professori Geraint Lewis e Brendon Brewer, hanno svolto un lavoro straordinario su un campione di 190 quasar, tenendoli sotto controllo e monitoraggio per oltre due decenni.
Per chi non lo sapesse, i quasar sono nuclei galattici fortemente luminosi (spesso buchi neri supermassicci iperattivi) usati come metro di misura per valutare diversi attributi del nostro cosmo, compreso il tempo. L’osservazione di questi quasar ha portato Lewis, Brewer e la loro squadra a concludere che più l’universo invecchia, più il tempo accelera.
E non solo: stando a quanto concluso dai loro studi, il tempo sembra scorrere cinque volte più lentamente in quello che è, appunto, l’Universo Primordiale. La dilatazione del tempo, già prevista dalla teoria della relatività generale di Einstein, è dunque ufficialmente da attribuirsi all’espansione dell’Universo.
Il tempo e l’espansione dell’universo
Cercando di spiegarlo nel modo più semplice possibile, l’espansione dell’Universo (ossia la sua crescita naturale) ha una conseguenza fisiologica: l’allungamento della luce mentre viaggia attraverso il cosmo, che a sua volta altera/allunga le lunghezze d’onda. Questo effetto fa sì che le galassie e i nuclei galattici osservati appaiano particolarmente accese e tendenti al colore rosso, ma non solo: anche il tempo si allunga.
Infatti, se un oggetto celeste distante inizia a lampeggiare per una volta al secondo, l’espansione fa sì che trascorra molto più di un secondo prima che i lampi raggiungano la Terra. Questo effetto dilatatorio è già stato ampiamente osservato: molti scienziati hanno, infatti, visto esplodere le stelle al rallentatore, con lampi e dissolvenze che impiegano molto più tempo rispetto alla velocità normale.
Tuttavia, il risultato raggiunto da Lewis e Brewer è davvero eccezionale perché è la prima volta che si può parlare dell’osservazione dei nuclei galattici del cosmo primitivo: La chiave del loro successo, pubblicato su Nature Astronomy, è stata trovare l’equivalente del ticchettio di un orologio negli schemi luminosi dei quasar.
Una scoperta in linea con le nostre conoscenze
Come abbiamo già detto, la dilatazione del tempo era già stata prevista da Einstein. Di conseguenza – per una volta tanto – ciò che sappiamo dell’Universo non viene né stravolto né rivoluzionato. Lewis e Brewer hanno fatto un lavoro straordinario estendendo quelli che erano gli studi in materia intrapresi in precedenza e spostando l’attenzione su quasar a distanze più lunghe rispetto a quanto fatto negli scorsi decenni.
Come ha affermato il dottor Lewis, la scoperta «in un certo senso conferma il fatto che sappiamo come funziona l’universo. Avevamo questa eredità lasciata da Einstein e l’abbiamo testata e testata per arrivare alla conferma».