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La battaglia contro la Phragmites, la minaccia invisibile: zone umide sotto assedio

In Nord America è allarme Phragmites, la minaccia invisibile per gli ecosistemi delle zone umide: come cercano di combatterla gli esperti ecologi

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La Phragmites è una minaccia invisibile e rappresenta una sfida cruciale per la conservazione degli ecosistemi umidi statunitensi.

Si tratta di una pianta invasiva che cresce e prolifera proprio in zone ricche d’acqua: ecco cosa sappiamo e a che punto sono le strategie per limitarne l’espansione dove è considerata una specie aliena.

La minaccia invisibile della Phragmites: che cos’è?

La lotta contro la Phragmites, una specie di canna alta e densa conosciuta come Phragmites australis, è in atto soprattutto nelle zone umide degli Stati Uniti. Per quale motivo è così pericolosa? Quando inizia a crescere ed espandersi rapidamente soffoca la biodiversità nativa.

Una volta che la Phragmites prende piede, diventa estremamente difficile da eliminare: ad esempio, tentando di avvelenarla e tagliarla, lascia dietro di sé una distesa fangosa che si presta facilmente a nuove infestazioni, creando un ciclo continuo di invasione.

Gli ecologi nello Utah, uno degli stati più colpiti dall’infestazione, stanno cercando soluzioni innovative per ripristinare le piante autoctone dopo la rimozione della Phragmites. Secondo Karin Kettenring, ecologa specializzata in zone umide presso la Utah State University, è ancora un approccio sperimentale. Tuttavia, il suo team ha ottenuto risultati promettenti in alcune aree vicino al Great Salt Lake, dove la semina di miscele di specie autoctone ha mostrato un ripristino efficace della biodiversità.

Per dirla tutta, l’invasione della Phragmites ha radici storiche. Arrivata in Nord America oltre un secolo fa, sembra che sia stata introdotta sulla costa orientale come materiale da imballaggio. Le sue infiorescenze soffici venivano usate come riempitivi, simili al polistirolo. Tuttavia, la pianta non ha raggiunto lo Utah fino agli anni ’90, quando ha cominciato a diffondersi rapidamente. Keith Hambrecht, del Dipartimento delle Foreste, Incendi e Territori Statali dello Utah, ricorda le prime difficoltà incontrate durante i tentativi di rimozione manuale della Phragmites, conclusi senza risultati.

Oggi vastissime aree dello stato sono invase da questa pianta, con steli alti oltre tre metri che formano fitte barriere e radici profonde che modificano il flusso naturale dell’acqua, compromettendo i corsi e i canali.

Se ciò accade oltreoceano, va specificato che, al contrario, nella realtà mediterranea ed europea la Phragmites è fondamentale per il corretto funzionamento dei fragili ecosistemi ripariali e delle zone umide, poiché fornisce l’habitat naturale per molte specie animali che abitano laghi e fiumi.

Tattiche per limitare l’espansione della Phragmites

Tornando negli U.S.A., il problema non riguarda solo lo Utah: la Phragmites è una minaccia crescente per le zone umide di tutto il Nord America. In questi ambienti, un tempo ricchi di piante native, la Phragmites si espande senza rivali, eliminando habitat essenziali per insetti, animali e uccelli migratori.

Per contrastarla, i gestori delle risorse ambientali devono ricorrere a erbicidi e poi eliminare fisicamente i residui della pianta. Tuttavia, una volta rimossa, le piante locali non si rigenerano spontaneamente. La strategia maggiormente praticabile, spiega Hambrecht, è seminare direttamente specie autoctone, ma le sfide non sono poche.

Un elemento di difficoltà è rappresentato dai livelli d’acqua variabili. Hailey Machnikowski, una studentessa di dottorato del team di Kettenring, sottolinea come sia difficile prevedere e gestire questi cambiamenti. Anche in zone umide, dove l’acqua è un fattore dominante, le fluttuazioni stagionali complicano il radicamento delle piante native. La squadra di Kettenring ha scelto una combinazione di semi di quasi due dozzine di specie originarie, sperando che almeno alcune di esse si adattino alle condizioni instabili. Alcune piante, come la Salicornia e un’altra specie nota come “beggartick” (Bidens), con fiori gialli brillanti, hanno dato risultati positivi.

Il team sta valutando anche la possibilità di seminare più volte durante l’anno per aumentare le probabilità di successo, un approccio innovativo portato avanti da un’altra ricercatrice, Montana Horchler. Tuttavia, il reperimento di semi di piante native rappresenta l’ennesimo ostacolo. Quelli necessari non sono facilmente reperibili nei negozi, e il team è costretto a raccoglierli manualmente, una procedura lunga e faticosa. La collaborazione con piccoli produttori di semi potrebbe facilitare il nuovo stoccaggio di forniture adeguate, ma questi produttori, con margini di guadagno limitati, difficilmente riescono a sostenere il rischio economico di produrre semi poco richiesti.

In definitiva, la battaglia contro la Phragmites, laddove non è una specie autoctona, richiede un impegno comune e costante. Ogni nuova scoperta sul ripristino degli ecosistemi è un passo verso un equilibrio più sostenibile e un esempio per altre regioni afflitte da problemi simili.

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