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SCIENZA

Dei pianeti sono scomparsi dal nostro Universo

Diversi esopianeti non si trovano più dove erano all'inizio: sembrano essere misteriosamente scomparsi. Invece, una nuova teoria potrebbe spiegare i loro movimenti e far chiarezza su cosa è capitato

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Spesso, anzi, spessissimo, abbiamo parlato di meravigliosi e misteriosi corpi celesti presenti nello Spazio e degli straordinari eventi che lo popolano. Ma cosa si può dire, invece, sugli assenti? Sì, perché anche se non tutti lo sanno, nel nostro Universo sono apparsi e poi scomparsi migliaia di pianeti, sulle cui sorti si sta ancora dibattendo.

Attenzione, per "scomparsi" non si intende che si siano proprio volatilizzati. Più che altro, i pianeti in questione tendono a spostarsi e/o a collidere, creando nuovi corpi celesti. Fino ad adesso, entrambi questi comportamenti sembravano essere molto misteriosi, ma oggi astronomi e astrofisici sembrano avere una spiegazione.

La popolazione di pianeti nel nostro Universo

Ma facciamo un passo indietro e guardiamo ai nostri cieli: quanti pianeti esistono, attualmente? Secondo i più recenti studi (e in base a fin dove riusciamo a vedere) i mondi nello Spazio sono quasi 5200 confermati e ce ne sono ancora quasi 9000 in attesa di valutazione. Ognuno di loro ha, chiaramente, una storia: ci sono pianeti massicci, con raggi di quasi 3 volte superiori alla Terra, micropianeti e pianeti di molteplici forme e consistenze.

Fra questi pianeti, però, ce ne sono alcuni che rappresentano un mistero per gli scienziati e che possiamo dividere in due categorie. I primi sono gli esopianeti con raggi compresi tra quelli della Terra e di Nettuno, il cui nome in gergo è radius valley, rarissimi e allo stesso tempo molto importanti per comprendere come si siano formati i pianeti in grado di ospitare la vita. I secondi, invece, sono i cosiddetti peas in a pod [tradotto: piselli nel baccello, n.d.r], ovvero pianeti vicini di dimensioni simili che si trovano in centinaia di sistemi planetari.

Cosa c’entra tutto questo con i pianeti scomparsi? Tutto: in uno studio condotto dal progetto Cycles of Life-Essential Volatile Elements in Rocky Planets (CLEVER) della Rice University, infatti, la responsabile sia della rarità dei radius valley, che della presenza dei peas in a pod, che dei pianeti scomparsi, sarebbe la migrazione planetaria.

I pianeti scomparsi e la migrazione planetaria

Il team internazionale della Rice University ha infatti fornito un nuovo modello che spiegherebbe l’interazione delle forze che agiscono sui pianeti appena nati e che potrebbero spiegare ogni cosa. Nella loro ricerca, pubblicata sull’Astrophysical Journal Letters, gli scienziati hanno spiegato di aver simulato gli sviluppi planetari nei vari sistemi terrestri ed extraterrestri nei primi 50 milioni di anni di vita dell’Universo.

Per farlo, è stato usato un supercomputer che ha evidenziato come i cosiddetti dischi protoplanetari, strutture discoidali di gas e polveri in orbita attorno a una stella nelle prime fasi dell’Universo, abbiano più volte interagito con i pianeti in orbita. Proprio a causa di queste interazioni, in molti casi i pianeti si sono avvicinati alle loro stelle madri, creando una sorta di "catena orbitale" che si ripete.

Nel giro di pochi milioni di anni, però, i dischi protoplanetari si esauriscono e la loro mancanza rompe le catene, provocando una serie di instabilità orbitali che causano la collisione di due o più pianeti. Per questa ragione, dunque, alcuni sono diventati giganti, altri si sono spezzati e alcuni sono stati risucchiati verso l’orbita gravitazionale della stella madre, venendo inglobati (e quindi "scomparendo").

I pianeti scomparsi e il futuro dell’Universo

L’ipotesi avanzata dagli scienziati della Rice University deve ancora essere verificata con ulteriori prove e studi, ma spiegherebbe in maniera coerente i misteri succitati. La migrazione dei giovani pianeti verso le stelle che li ospitano, infatti, crea un sovraffollamento e il sovraffollamento può portare a scontri catastrofici che "spogliano" i pianeti delle loro atmosfere ricche di idrogeno.

Questo significa che questi impatti possono riscrivere gli interi sistemi planetari e capovolgere gli equilibri. Gli studi del team non riguardano solo il passato: i risultati ottenuti, infatti, sono una buona opportunità per i ricercatori che si occupano di esopianeti e che lavorano con il James Webb Space Telescope per condurre osservazioni dettagliate sulle formazioni di nuovi sistemi planetari.