Perché non ricordiamo di essere stati bambini? Un nuovo studio lo spiega
I bambini formano ricordi? Perché li perdiamo una volta cresciuti? Ecco uno studio interessante sull'amnesia infantile che colpisce tutti noi

Riuscire a tornare indietro con la memoria fino al “primo ricordo infantile” è una pratica decisamente comune. Sarebbe errato sottolineare come tutti siano in grado di farlo ma, al tempo stesso, la netta maggioranza di noi ne ha la possibilità.
Ciò che cambia generalmente è l’età cui si fa riferimento. Alcuni tornano indietro con la memoria fino a due anni, altri fino a cinque e così via. Ma perché perdiamo tutto il resto del nostro bagaglio di ricordi?
I primi ricordi
Dimenticare i ricordi di infanzia è una condizione comune nota come “amnesia infantile”. Considerando ciò, è naturale chiedersi se i bambini formino effettivamente dei ricordi nei primi anni di vita. È questo il focus di una nuova ricerca pubblicata su Science da Tristan Yates, neuroscienziata cognitiva presso la Columbia University, e da altri colleghi.
La risposta è positiva: i neonati sono in grado di formare dei ricordi, anche se questi risultano inaccessibili col passare del tempo. Si tratta di una fase cruciale della nostra vita, dal momento che nei primi due anni impariamo a riconoscere i nostri genitori, a camminare e a parlare. Il cervello infantile è incredibilmente plastico ed è proprio in tale periodo che si gettano le basi di tutto ciò che conosceremo faremo in futuro.
Studiare la memoria infantile
Come è facile comprendere, studiare i ricordi nei neonati è alquanto complesso. Sfruttare strumentazioni come la risonanza magnetica richiede infatti che il soggetto resti perfettamente immobile. Una vera e propria impresa per un bambino.
Nick Turk-Browne, neuroscienziato cognitivo a Yale, ha lavorato per circa 10 anni per adattare la tecnologia della risonanza magnetica funzionale ai neonati. In questo lasso di tempo è riuscito a sviluppare delle strategie utili a mantenere i piccoli tranquilli e collaborativi. Ciò passa attraverso usi e concessioni:
- giocattoli;
- copertine;
- ciucci;
- bottiglie di latte;
- pause gioco;
- passeggiate.
Ai piccoli vengono richiesti compiti brevi, tentando di mantenere viva la loro attenzione con stimoli visivi. Ciò ha consentito di “leggere” ciò che avviene nel cervello infantile, senza il bisogno di porre domande dirette.
Cosa ricordano i bambini
L’esperimento prevedeva dei video con sfondi psichedelici mostrati ai neonati, al fine di attirare la loro attenzione. Sono stati poi mostrati loro degli oggetti nuovi, uno per volta, per circa due secondi.
Trascorso un minuto, ai bambini veniva riproposta un’immagine già vista insieme a un’altra simile ma nuova. Nel caso in cui il bambino si ritrovava a fissare più a lungo l’immagine familiare, i ricercatori interpretavano ciò come segnale di memoria formata.
Nel corso di tale processo, la risonanza magnetica monitorava l’attività cerebrale, in particolare nell’ippocampo (regione connessa alla memoria). I risultati hanno mostrato che, già dai 12 mesi, maggiore è l’attività dell’ippocampo alla vista di un’immagine, più probabile è che il bambino la ricordi dopo.
L’ippocampo di neonati può dunque immagazzinare ricordi individuali, anche se questi risultano inaccessibili in età adulta. Questo studio evidenzia dunque come l’infanzia non sia affatto una fase passiva o vuota. È invece un periodo fondamentale nello sviluppo e tremendamente attivo.
Ciò porta a riflettere anche sul concetto di trauma infantile. Se si ammette che il cervello di un bambino immagazzini esperienze di vario genere, anche senza accesso consapevole, occorre tener conto delle esperienze negative e di come queste possono influenzare lo sviluppo successivo. Resta da capire quanto durino in effetti questi ricordi e se sia possibile in qualche modo riattivarli in età adulta.