Questo è il motivo per cui non ci ricordiamo (e non ci ricorderemo mai) di essere nati
Tutti nasciamo, ma nessuno lo ricorda: come mai? Pare che il motivo sia l'amnesia infantile, ma definirla è più difficile di quanto si possa pensare
La nascita è il primo evento traumatico della vita degli esseri umani. Si tratta di un momento di rottura, durante il quale si passa dall’ovattato e sicuro grembo materno a un mondo pieno di stimoli, luci, suoni e novità. Allora perché non ricordiamo di essere nati? Cosa è successo ai nostri ricordi di quel momento così intenso, così decisivo? Esistono ancora o sono andati perduti per sempre?
La risposta è meno semplice di quanto si possa pensare. Non ci ricordiamo (e probabilmente non ricorderemo mai) di essere nati per via di quella che Sigmund Freud ribattezzò come amnesia infantile. Freud ne era ossessionato, perché questo “oblio” riguarda non solo il momento della nascita, ma anche altri elementi chiave della vita dei bambini, come il momento della prima parola o il primo momento in cui si prova gioia e dolore. Ma in cosa consiste?
L’amnesia infantile e gli studi
Nell’ultimo anno il quesito è tornato a diffondersi prepotentemente nell’ambito scientifico. Se in generale si susseguono studi sull’atto del ricordare, quelli che prendono in esame il momento che va dalla nascita ai primi mesi di vita (in generale i primi due anni) sono i più misteriosi. Per capire perché basta pensare ad alcune delle più recenti ricerche svolte dalle Università statunitensi e britanniche, che hanno stabilito che i neonati inizia no ad allenare le loro menti già prima di lasciare l’utero.
Tanto basta per rafforzare il fatto (già noto) che tutti i bambini sono delle vere e proprie spugne per informazioni: formano ben 700 nuove connessioni neurali al secondo, mostrano straordinarie e velocissime capacità di apprendimento, si adattano e comunicano in modo straordinario. E allora perché veniamo colpiti dall’amnesia infantile? Secondo lo psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus, il motivo è “semplice”: perché siamo fatti anche per dimenticare.
Ricordare e dimenticare: due facce della stessa medaglia
Ebbinghaus sostenne che l’amnesia infantile è il risultato del naturale e graduale processo che ci porta a dimenticare le varie cose che sperimentiamo nel corso della nostra esistenza, anche le più straordinarie. Testando i propri limiti e quelli di alcuni soggetti studiati, osservò quella che chiamò curva dell’oblio. In sostanza, quello che emerse è che il nostro cervello è quasi “programmato” per un rapido declino, buttando via buona parte di quanto si apprende già entro un’ora.
Per i neonati e per i bambini la situazione differisce di poco. A restare impressi sono solo i ricordi essenziali, legati per lo più alla sopravvivenza: il volto e l’odore della madre o dei parenti, le associazioni legate al cibo e ai bisogni fisiologici, quelli relativi alle esperienze positive e a quelle negative più pregnanti e determinanti per portare avanti la propria esistenza nella maniera più fluida e serena possibile. In un momento in cui si impara, letteralmente, a vivere, ciò che il cervello ritiene superfluo scompare: il resto delle memorie vengono scartate e archiviate.
I ricordi non sono uguali per tutti
Al fatto che tutti veniamo colpiti dall’amnesia infantile c’è da aggiungere, però, una variabile. Variabile che, per altro, è quella che stuzzica la curiosità degli scienziati: i ricordi non sono uguali per tutti. In generale, le persone non ricordano molto prima dei 2 o 3 anni, ma non per tutti è così. C’è chi dimostra, invece, di avere memorie molto chiare di quell’arco di tempo. E non si tratta di falsi ricordi, sviluppati per mezzo di racconti/testimonianze, ma di immagini reali, restituite con una certa precisione.
Ci si trova, dunque, al momento a porsi una domanda: e se i ricordi della nascita e quelli successivi, siano, in realtà, ancora da qualche parte nella nostra mente? E se diventassero, in qualche modo, reperibili? Mentre si ipotizza che esistano ricordi nascosti sotto una superficie che non abbiamo ancora capito come grattare e riportare alla luce, dobbiamo però fare spallucce: non ricordarsi il momento della nascita è (ancora) perfettamente normale.