Dove sono finiti i rottami del razzo russo che hanno spaventato la Terra
Il razzo russo Angara-A5 è stato protagonista di una missione fallimentare, compreso il ritorno preoccupante sulla Terra
Non ha destato la stessa sensazione del “collega” cinese, ma un minimo di preoccupazione c’è stata ugualmente. La storia si è ripetuta: dopo l’intricata vicenda del razzo cinese Lunga Marcia 5B che lo scorso mese di maggio rientrò sulla Terra dopo aver spaventato mezzo mondo per l’incertezza sul luogo della caduta, stavolta è toccato a un propulsore russo ribattezzato Angara-A5. Quest’ultimo ha perso il controllo nel suo ritorno nel nostro pianeta, creando un minimo di ansia ma senza il panico autentico di pochi mesi fa. La storia è cominciata lo scorso 27 dicembre, quando il razzo in questione era stato lanciato dalla base di Plesetsk per un ambizioso esperimento.
I russi stanno cercando infatti di capire se può essere testato uno stadio superiore del razzo, anche se il bilancio complessivo è stato a dir poco fallimentare. La perdita di controllo è avvenuta già in orbita e i media locali si sono affrettati a lanciare l’allarme per evitare che qualche rottame finisse in testa a un malcapitato. Il monito era chiaro: entro 24 ore Angara-A5 sarebbe precipitato, ma senza conoscere il punto esatto, un po’ come il classico ago nel pagliaio. Normalmente, quando questi razzi ritornano sulla Terra, gran parte dei detriti finisce bruciata nell’atmosfera terrestre, anche se rimane sempre qualche parte vagante che potrebbe causare danni.
Una traiettoria fin troppo incerta
Fortunatamente non c’è stato alcun ferito. Il razzo russo è caduto nel Pacifico Occidentale, più precisamente nella parte settentrionale di Papua-Nuova Guinea. La rassicurazione è arrivata dal diciottesimo Space Control Squadron che non ha smesso un solo secondo di monitorare lo spazio e soprattutto questa ambigua traiettoria. Il rischio era comunque elevato, soprattutto dopo che la NASA ha rimproverato più di una volta la Cina per quanto accaduto con il Lunga Marcia la scorsa primavera, non certo la prima volta che gli Stati Uniti sono allarmati da Pechino. I dati che hanno fatto trattenere il fiato alla Terra sono presto detti: i rottami viaggiavano a una velocità di 7,5 chilometri al secondo, con la latitudine di rientro compresa tra 63 gradi a nord e a sud dell’Equatore.
Una lunga storia di lanci
Si sapeva già, comunque, che il punto di ingresso nell’atmosfera terrestre sarebbe stata al di sopra dell’Oceano Pacifico e così è avvenuto. Le incertezze dipendevano soprattutto da una serie di fattori mutevoli, come ad esempio le condizioni atmosferiche e l’angolo esatto assunto dalla porzione di razzo russo. La storia degli Angara è davvero lunga, dunque questo insuccesso non può che aver demoralizzato Mosca nella sua corsa allo spazio. I vettori di questo tipo sono stati pensati per posizionare in orbita carichi dal peso non indifferente. Il primo lancio in assoluto risale al 2014, quando fu sfruttata una traiettoria di tipo suborbitale.
La scelta di adottare propulsori del genere da parte della Russia è stata però adottata molto prima, nel lontano 1995. Le componenti principali del razzo sono sempre due: la prima si chiama URM-1, lo stadio principale spinto da un motore con serbatoio superiore di ossigeno liquido e uno inferiore di cherosene. La seconda è l’URM-2, anch’esso funzionante col cherosene e che deriva direttamente dal secondo stadio sul Soyuz-B. Dopo la caduta libera, bisognerà di sicuro attendere del tempo per un nuovo esperimento.
Simone Ricci