Perché gli alberi dell'era giurassica che crescono in Tasmania sono in pericolo e cosa rischiamo
Gli alberi dell'era giurassica in Tasmania potrebbero estinguersi a causa degli incendi da fulmini, in aumento per via del cambiamento climatico: rischiamo di perdere un patrimonio naturale

Da milioni di anni, gli alberi dell’era giurassica crescono in Tasmania, un’isola che ospita alcune delle specie vegetali più antiche e rare al mondo. Tuttavia, queste piante straordinarie stanno affrontando la minaccia più grave della loro lunga esistenza: il fuoco, sempre più frequente e devastante a causa dei cambiamenti climatici.
Cosa rischiano gli alberi dell’era giurassica in Tasmania
Il pino a matita, una pianta della famiglia delle Athrotaxis, risale a 140 milioni di anni fa, cioè al Giurassico. Il suo nome deriva dalla forma del tronco, ma la caratteristica principale che possiede è la sua incredibile longevità e resistenza alle intemperie. Cresce principalmente in ambienti montani e rocciosi, dove il vento, il freddo e la neve plasmano il suo sviluppo. Le foglie cerose e il tronco morbido lo rendono un elemento di grande fascino per chi ha la fortuna di avvistarlo durante un’escursione nelle alte terre della Tasmania.
Purtroppo, questi alberi dell’era giurassica oggi sono in pericolo. Gli incendi provocati dai fulmini, fenomeno sempre più diffuso con l’intensificarsi dei cambiamenti climatici, rappresentano una delle maggiori minacce per la loro sopravvivenza.
Il pino a matita, infatti, è estremamente sensibile al fuoco. Se la fiamma arriva a toccare il suo tronco, l’albero muore. A differenza degli eucalipti, che si sono adattati a resistere a incendi frequenti, il pino a matita non ha alcuna difesa contro il fuoco che devasta le sue foreste. Ogni anno, la Tasmania è colpita da incendi sempre più gravi, che minacciano di distruggere anche gli ultimi esemplari rimasti.
Recentemente, gli ecologisti hanno condotto un’indagine sui danni causati dagli incendi da fulmine, maggiori responsabili della devastazione delle terre centrali della Tasmania, nella zona dell’Overland Track, un sentiero alpino frequentato da escursionisti. In alcune aree, interi gruppi di pini a matita sono stati gravemente danneggiati, mentre in altre sono stati distrutti singoli esemplari. Il paesaggio, un tempo costellato di questi alberi millenari, è ora ridotto a frammenti sparsi, custoditi solo da zone rocciose che sembrano proteggere questi monumenti naturali.
Un cambiamento climatico irreversibile?
Purtroppo, tale scenario non è un caso isolato, ma un campanello d’allarme che segnala un cambiamento irreversibile nelle condizioni ambientali della regione. La Tasmania, tuttavia, non è l’unica a soffrire degli effetti d’incendi sempre più frequenti. Il riscaldamento globale ha reso l’area particolarmente vulnerabile, con estati più calde e periodi di siccità che favoriscono l’insorgere dei focolai.
In uno degli ultimi episodi, avvenuto nel febbraio del 2025, più di 1.200 fulmini hanno colpito l’isola, scatenando incendi in diverse zone. Nonostante gli sforzi di contenimento da parte dei vigili del fuoco, che hanno utilizzato mezzi aerei e tecnologie avanzate per le fiamme, una vasta porzione di territorio, pari a 98.500 ettari, è andata distrutta.
Le implicazioni per la biodiversità dell’isola sono gravi. Gli alberi dell’era giurassica, come il pino a matita e il pino Huon, un altro esemplare molto raro, sono testimoni di un passato geologico che non possiamo permetterci di perdere. Il pino Huon, per esempio, può vivere fino a 2.500 anni e il suo legno è noto per la durabilità e il profumo, ma anche questa specie sta diventando sempre più sporadica.
Come ha suggerito un esperto, sebbene le tecnologie moderne permettano di fare enormi passi avanti nella lotta contro gli incendi, il cambiamento climatico è una sfida globale che richiede soluzioni a lungo termine. In questo contesto, la protezione dei pini giurassici della Tasmania diventa simbolo di un patrimonio naturale che rischiamo di perdere per sempre, se non agiamo in tempo. Qualora questi giganti dovessero scomparire, perderemmo non solo un pezzo di storia geologica, ma anche un fondamentale indicatore della nostra capacità di convivere con la Terra.