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Cos'è la robotica collaborativa e a cosa serve

I robot collaborativi, o cobot, sono robot antropomorfi pensati per velocizzare diverse operazioni: scopri a cosa servono e come funzionano.

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Cos'è la robotica collaborativa Fonte foto: Shutterstock

Se solo una decina di anni fa rappresentavano una tecnologia emergente accolta generalmente con scetticismo, oggi i robot collaborativi – detti anche cobot – rappresentano il segmento della robotica industriale che cresce più rapidamente. E sono pensati per lavorare a stretto contatto con l’uomo. Il termine ha un significato ben preciso, che deriva dalla combinazione delle due parole inglesi collaborative e robot, e di fatto va a descrivere una tecnologia robotica capace di coniugare allo stesso tempo flessibilità operativa e integrativa, ed in grado di interagire in tutta sicurezza con l’ambiente circostante e naturalmente con gli operatori con cui le macchine condividono mansioni specifiche.

Capirete allora come i cobot abbiano il potere, nell’ambito dell’innovazione di impresa, di modificare profondamente i paradigmi di produzione e di lavoro, e il rapporto tra macchina e uomo così come viene inteso tradizionalmente. E se è vero che la robotica e l’intelligenza artificiale più in generale crescono in maniera esponenziale, allo stesso modo l’avvento dell’industria 5.0 porterà con sé notevoli cambiamenti sulla società e nuovi scenari di applicazione di questo tipo di innovazioni. Il tutto nel nome di un’industria più sostenibile, resiliente e incentrata sull’uomo.

Cobot: definizione e storia dei robot collaborativi

I robot collaborativi, per definizione, sono in grado di automatizzare un gran numero di applicazioni, e di muoversi in ambiti anche molti diversi tra loro. Ci troviamo di fronte a strumenti potenti e flessibili, la cui semplicità e rapidità di programmazione li rende pronti ad entrare immediatamente in produzione e a passare da un’attività ad un’altra in tempi assai brevi. La prima definizione di cobot si è fatta registrare grazie ad un brevetto del 1999, dedicato ad “un apparato e metodo per l’integrazione diretta tra una persona e un manipolatore generico controllato da un computer”. Ai giorni nostri, la descrizione si riferisce a quello che definiremmo come un dispositivo di assistenza intelligente (IAD), praticamente l’antenato dei cobot moderni, utile alla celebre General Motors per implementare la robotica nell’affollato e assai competitivo settore automobilistico.

Il fine ultimo era quello di aiutare i lavoratori nelle operazioni di assemblaggio, con la macchina a muoversi in un ambiente non ingabbiato. Solo nel 2004 KUKA, azienda tedesca pioniera nell’ambito della robotica collaborativa, ha rilasciato in collaborazione con l’Istituto centrale aerospaziale della Germania il modello LBR3, il primo cobot leggero dotato di alimentazione del movimento propria, poi perfezionato con due ulteriori modelli nel 2008 e nel 2013.

Negli stessi anni, la danese Universal Robot ha rilasciato l’UR5, primo cobot capace di svolgere le proprie attività in modo assolutamente sicuro al fianco della forza lavoro, avviando di fatto l’era dei robot collaborativi flessibili – caratterizzati da costi più contenuti e maggiore facilità di utilizzo. Al netto dell’iniziale e fisiologico scetticismo, ad ora il mercato dei robot industriali sta facendo registrare una crescita costante annuale del 50%. Per un giro d’affari di oltre 3 miliardi di dollari. Questo proprio per via della cavalcata tecnologia in atto, che permette di affinare quella che è già una meraviglia della scienza.

Rispetto ai robot industriali più tradizionali, quelli impiegati nella robotica collaborativa sono sia estremamente più piccoli e leggeri, sia progettati per lavorare fianco a fianco alle presone. Senza aver bisogno di protezioni o recinti, i cobot sanno rispettare distanze e misure di sicurezza, sia tra di loro che con gli esseri umani, sfruttando safety native sempre più accurate, sensori avanzati e a una programmazione evoluta. Per fare solo qualche esempio, arrivano a fermarsi in caso di contatto con un operatore o a rallentare in caso di contatto imminente, senza considerare che tempi e distanze degli arresti sono programmabili e personalizzabili. Resta allora garantita la massima flessibilità operativa.

Il campo della robotica collaborativa si presenta quindi come una fonte inesauribile di nuove opportunità per integrare l’automazione nella cosiddetta fabbrica intelligente. Un cobot è sì un robot compatto e sicuro, ma soprattutto rappresenta uno strumento dotato di intelligenza propria nelle mani dei lavoratori e degli operatori in genere. E che è caratterizzato, come già accennavamo in precedenza, da una marcata semplicità di programmazione e di utilizzo, assieme alla tipica rapidità di integrazione nella filiera produttiva e dal quasi immediato ritorno economico sull’investimento. Viene così naturale pensare ai robot collaborativi come a macchine antropomorfe con movimenti su sei assi, progettate per l’appunto per rispettare criteri di sicurezza, flessibilità e compattezza. E, ancora una volta, realizzate per lavorare a stretto contatto con l’operatore anche senza la presenza di barriere protettive.

Robot collaborativi e robot industriali: le differenze

Ora che abbiamo capito in linea generale cosa sono i robot collaborativi, pare evidente che i robot utilizzati dalle imprese private e dalla pubblica amministrazione non sono tutti uguali: li distinguiamo per dimensioni, velocità, portata d’azione, abilità applicativa e flessibilità operativa. Senza dimenticare il costo e la necessità o meno di barriere di sicurezza. Più nello specifico, le differenze tra cobot e robot tradizionali sono particolarmente marcate nel settore, e possono essere semplificate facendo riferimento a tre proprietà specifiche. La prima è il già citato livello di sicurezza, talmente elevato nella robotica collaborativa da permettere alle macchine di agire senza costose barriere, per via delle 17 safety native presenti di default sotto la loro scocca e di una svariata gamma di sensori. La seconda si ricollega invece alla flessibilità, vera cifra stilistica che contraddistingue un cobot.

I robot tradizionali danno infatti il via ad una automazione di tipo rigido e ottimale solo su grandi volumi produttivi, mentre le piccole dimensioni permettono ai cobot di essere spostati agevolmente all’interno dei confini industriali per essere impiegati solo dove serve. Non solo, la flessibilità di questi strumenti è enfatizzata dalla loro facilità di programmazione, che si accompagna alla velocità di messa in opera – la terza proprietà dell’elenco. La programmazione, semplice e intuitiva, può avvenire con due modalità differenti: la cosiddetta teach pendant, che usa le funzionalità touch screen e un template grafico per impostare subito i programmi del cobot, e la free drive, che dà la possibilità di programmare il robot muovendo il braccio nello spazio, così che possa replicare alla perfezione l’azione voluta.

All’atto pratico, si tratta di una soluzione pronta all’uso in grado di potenziare linee produttive e processi, anche a fronte di un’alimentazione attraverso corrente elettrica a 220 V di tensione che la rende virtualmente integrabile ovunque – anche in alcuni contesti civili. Un’applicazione che viene gestita sinergicamente da un operatore e da un robot collaborativo è inoltre dell’85% più produttiva di un’applicazione totalmente automatizzata o completamente manuale, proprio per la capacità dei cobot di combinare con un vantaggio evidente quanto di meglio viene messo sul piatto dall’effort umano e dalla precisione dell’automazione stessa.

Un altro enorme incentivo per l’impiego della robotica collaborativa è dato dal fatto che queste macchine hanno la capacità di passare da un compito all’altro senza interruzioni. Questo avviene a prescindere dal settore di applicazione, dalle dimensioni dell’azienda, e dalla natura del prodotto, il che la rende una tecnologia assai adatta anche per linee di assemblaggio che lavorano su lotti piccoli e su produzioni di tipo misto.

L’evoluzione della robotica collaborativa

Nonostante nelle battute iniziali abbiamo voluto sottolineare quanto sia veloce lo sviluppo e la diffusione dei robot collaborativi, attualmente non sono poche le aziende che hanno espresso dubbi sulla loro integrazione, mentre per la maggior parte degli impianti di produzione è ancora difficile prevederne l’effettiva applicazione. Come per ogni ambito della scienza e della tecnologia, anche per i cobot esistono diversi limiti e sfide da affrontare. Una fa rima innanzitutto con la necessità di inseguire una manualità più raffinata, in particolare durante la raccolta e la lavorazione di componenti piccoli e piuttosto delicati. L’altra, in parallelo, si focalizza sulla capacità di prendere decisioni in modo rapido per andare ad evitare gli ostacoli senza interrompere la produzione – con tutte le conseguenze del caso.

I leader del settore sono già al lavoro per risolvere queste impegnative sfide, e stanno cercando delle risposte sviluppando cobot equipaggiati con processori via via più veloci e sistemi di visione integrata. Soluzioni, queste, che pennellano una industria 5.0 ambiziosa ma futuribile, e che permetteranno agli stessi cobot di essere esponenzialmente più produttivi. Non solo, le macchine dall’indole collaborativa aiuteranno ad arginare – ed eventualmente risolvere – criticità e problemi all’interno di qualsiasi ciclo produttivo, apportando miglioramenti anche in termini di risparmio di energia, di risorse e di tempo.

Non è allora un caso che tra le caratteristiche dei robot industriali di nuova generazione si evidenzi una maggiore versatilità di impiego, una incisiva adattabilità a situazioni non note a priori, una precisione di posizionamento accurata, e la ripetibilità di esecuzione di cui abbiamo detto già più volte. I cobot, insomma, rappresentano tanto un presente in costante crescita quanto un futuro sempre più automatizzato: i timori, anche per gli addetti ai lavori, continuano ad avere ragion d’essere, ma il fermento per la prossima evoluzione è papabile. La filosofia di programmazione dei cobot, infatti, fa leva su parametri vincenti, sviluppando e utilizzando veri e propri bracci meccanici, robotizzati e molto snodati.

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