Libero
DIGITAL LIFE

Chi sono i "gatekeeper" digitali e cosa non possono più fare

Le Big della tecnologia sono state costrette dalla UE a dichiararsi "Gatekeeper": il primo passo verso la fine dello strapotere dei giganti digitali?

Pubblicato:

unione europea Fonte foto: Shutterstock

Il 1° novembre 2022 è entrato in vigore il nuovo Digital Markets Act dell’Unione Europea, un regolamento destinato a rivoluzionare tutti i servizi digitali nel vecchio continente, dai social alle app per smartphone, purché tali servizi siano disponibili in almeno tre Stati dell’Unione. Una delle novità introdotte dal DMA è la figura del “Gatekeeper“, aggettivo che viene affibbiato ad alcune aziende attive nei servizi digitali insieme a numerose regole e prescrizioni prima inesistenti.

Con il DMA e i Gatekeeper, quindi, l’UE inizia a porre forti limiti al potere delle Big dell’informatica e del digitale, creando una forte differenza tra ciò che i loro servizi possono offrire in Europa e ciò che offrono nel resto del mondo, in particolare negli Stati Uniti.

Cosa vuol dire Gatekeeper

Con il termine di Gatekeeper (portiere, custode in italiano) l’Unione Europea definisce le aziende che erogano servizi digitali nello Spazio Economico Europeo e hanno determinati requisiti:

  • fatturato annuo di almeno 7,5 miliardi
  • numero di utenti oltre i 45 milioni
  • posizione consolidata e duratura nel mercato

Quali obblighi hanno i gatekeeper

Una volta definiti i gatekeeper, l’UE assegna a queste grandissime aziende degli obblighi ben precisi, che se non verranno rispettati porteranno a pesanti multe o, in caso di recidiva, al divieto a operare sul suolo europeo. Ecco alcuni degli obblighi per un gatekeeper

  • rendere i propri servizi interoperabili per i terzi in situazioni specifiche
  • consentire agli utenti commerciali di accedere ai dati che generano utilizzando la piattaforma
  • fornire alle imprese che fanno pubblicità sulla piattaforma gli strumenti e le informazioni necessarie per consentire agli inserzionisti e agli editori di effettuare verifiche indipendenti dei messaggi pubblicitari ospitati dalla piattaforma
  • consentire agli utenti commerciali di promuovere la loro offerta e concludere contratti con clienti al di fuori della piattaforma

Quali sono i divieti per i gatekeeper

Parallelamente agli obblighi, il DMA assegna ai gatekeeper anche dei limiti, delle cose che non potranno più fare:

  • riservare ai propri servizi e prodotti un trattamento favorevole in termini di classificazione rispetto a servizi o prodotti analoghi offerti da terzi sulla loro piattaforma
  • impedire ai consumatori di mettersi in contatto con le imprese al di fuori della piattaforma
  • impedire agli utenti di disinstallare applicazioni o software preinstallati, se lo desiderano
  • tenere traccia per motivi pubblicitari degli utenti finali al di fuori dei servizi essenziali della piattaforma, senza previo consenso dei diretti interessati.

Chi sono i gatekeeper del DMA

Nel rispetto del Digital Markets Act, i primi 7 gatekeeper si sono già dichiarati tali in Europa, informando la Commissione Europea e accettando la normativa che ne consegue. Nella lista ci sono tutti i giganti, nessuna sorpresa:

  • Alphabet (Google, YouTube)
  • Amazon
  • Apple
  • ByteDance (TikTok)
  • Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp)
  • Microsoft
  • Samsung

Cosa cambia per noi utenti

Il tristissimo detto “fatta la legge, trovato l’inganno“, purtroppo non vale solo in Italia: anche la normativa UE viene spesso aggirata tramite stratagemmi legali. Non possiamo ancora sapere se sarà questo il caso del DMA e di tutti i suoi obblighi e limiti, ma sappiamo che se almeno in parte la nuova direttiva verrà rispettata, allora il panorama digitale europeo cambierà molto.

Stop alla raccolta senza limiti di dati sul comportamento degli utenti, stop alla compravendita di dati, pieno accesso per gli utenti ai propri dati, stop alla distanza siderale tra utente e azienda (qualcuno ha mai parlato con Google o con Facebook?).

Sarà molto interessante vedere come verrà applicata la prescrizione che prevede l’obbligo di “rendere i propri servizi interoperabili per i terzi in situazioni specifiche“. In teoria, infatti, potrebbe essere usata per imporre alle piattaforme di messaggistica di aprirsi e dialogare fra loro, in modo da permettere, ad esempio, ad un utente WhatsApp di mandare un messaggio ad un utente Telegram.