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Aree marine europee sotto pressione a causa delle attività umane, cosa si rischia entro il 2030

Le aree marine europee sono sempre più a rischio a causa delle attività umane: ecco i pericoli concreti e cosa farà l'Ue

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L’economia che ruota intorno al mare continua a non svilupparsi in maniera sostenibile. Una realtà sempre più gravosa, che distrugge gli ecosistemi e mette in pericolo differenti specie, un cruciale settore economico e noi stessi. Le attività umane rappresentano un’enorme minaccia per le aree marine europee (e non solo). Ecco cosa accadrà entro il 2030 e quali azioni l’Unione europea ha avviato in merito.

Pesca in Europa

Nei mari d’Europa la pesca continua a mettere in grave pericolo l’equilibrio degli ecosistemi. L’attività umana genera una pressione sempre crescente, che compromette lo stato di salute del mondo marino. Lo evidenzia il rapporto Healthy seas, thriving fisheries: transitioning to an environmentally sustainable sector, realizzato dalla European Environment Agency (EEA).

La panoramica si sofferma sulle tante conseguenze della pesca eccessiva, così come sul declino della biodiversità, il crescente inquinamento, il degrado degli habitat e gli effetti del cambiamento climatico.

Si ha l’assoluta necessità di ecosistemi marini sani e, per assurdo, a necessitarne primariamente è proprio la pesca, che li sta compromettendo. Si sfrutta questa parte di mondo come se si trattasse di una risorsa infinita, il cui danneggiamento non ha conseguenze gravissime su tutti noi. In alcuni casi si può arrivare addirittura all’esaurimento degli stock. È un rischio terrificante che va concretizzandosi nel Mar Baltico, ad esempio, in termini di merluzzi e aringhe.

Si stima che più del 93% delle aree marine europee sia sotto pressione a causa della nostra attività. Una condizione destinata a peggiorare sempre più e in maniera molto rapida. Ciò nel caso in cui l’economia blu, così viene definita, non si sviluppi in maniera sostenibile. Di fatto aumenta sempre più la domanda di pesce, mentre la produzione ittica nel territorio dell’Ue è in chiaro calo. Basti pensare che è diminuita del 18% tra il 2014 e il 2021.

Impatto della pesca

Di seguito riportiamo quali sono le principali conseguenze delle nostre attività sugli ecosistemi marini europei:

  • catture accessorie, con specie giovanili e non mirate che vengono prese in rete per errore. Lo stesso dicasi per specie protette e/o in pericolo e/o minacciate;
  • gli scarti, con circa 9 milioni di tonnellate all’anno di pesci catturati per errore e rigettati in acqua, spesso morti o con scarse chance di sopravvivenza;
  • degrado degli habitat, con la pesca a strascico e il dragaggio (tra gli altri metodi) che possono danneggiare enormemente gli ecosistemi dei fondali;
  • reti fantasma, ovvero attrezzi da pesca abbandonati o persi che rappresentano una minaccia per gli animali marini ed equivalgono a rifiuti plastici molto gravosi;
  • inquinamento causato dalle imbarcazioni e dalle attività di pesca di vario genere, con fuoriuscite di petrolio e carburante, rumore sottomarino e non solo;
  • perdita di integrità del fondale marino, soprattutto quando si sfruttano attrezzi mobili a contatto con il fondo.

Azioni per la sostenibilità

Nei mari europei è stata ridotta la pesca eccessiva. Ciò ha consentito un parziale ripopolamento delle specie. Stando al rapporto dell’EEA, però, sono ancora evidenti dei livelli di pesca insostenibili. Il Green Deal Europeo pone tra gli obiettivi anche la protezione dei mari europei. Basti pensare al Piano d’azione per il mare, che mira a proteggere gli ecosistemi marini e, al tempo stesso, ripristinarli. Ciò rientra nel quadro più ampio della Biodiversity Strategy for 2030.

Si pensa ad aumentare l’estensione delle aree marine protette. L’Ue si impegna a tutelare il 30% dei suoi mari entro il 2030. Ad oggi le aree protette coprono il 12% dei mari, circa.

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