Una scoperta incredibile nell'universo primordiale rivela una nuova verità sui buchi neri
Il telescopio Hubble ha consentito una scoperta sull'universo primordiale: ecco la realtà dei buchi neri
Ancora una volta il telescopio spaziale Hubble sa stupirci e offrire al genere umano una scoperta che ha del clamoroso. Sono stati infatti trovati dei buchi neri nell’universo primordiale. Non una totale sorpresa, ovviamente, ma il loro numero è decisamente maggiore rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato. Di seguito tutti i dettagli e le possibili implicazioni.
Cos’è l’universo primordiale
Forse è meglio fare un passo indietro, sottolineando come il nostro Universo si sia espanso e raffreddato dopo l’evento che tutti conoscono: il Big Bang. Tale duplice processo ha fatto in modo che la materia raggiungesse lo stato che conosciamo oggi, di fatto riorganizzandosi. Dalle prime galassie e stelle, che risalgono ad alcune centinaia di migliaia di anni dopo la “grande esplosione”, all’innalzamento delle temperature, che ha richiesto un altro miliardo di anni. Ciò ha comportato una nuova ionizzazione dell’idrogeno.
Ecco un’estrema sintesi di un processo gigantesco, colmo di misteri, che ancora ci affascina perché, di fatto, possiamo guardare in avanti unicamente dopo aver compreso quanto ci ha preceduto. Quando si parla di Universo primordiale, dunque, si fa riferimento proprio a questa fase, in tutta la sua prolungata evoluzione. In una realtà composta principalmente da gas, stelle e ammassi si sono formati a parte da nubi, dando origine alle prime galassie. Tutto ciò è, come detto, ancora oggi al centro di numerosi studi, e uno di questi si sofferma sulla presenza di buchi neri.
Scoperta nell’universo primordiale
Grazie al telescopio spaziale Hubble della NASA sono state ottenute prove importanti in merito all’Universo primordiale. Sappiamo che i buchi neri erano più di quanto ipotizzato in precedenza. Sono infatti giunte nuove immagini, a distanza di molti anni rispetto alla prima storica, che risale al 2004.
Tutto grazie al campo ultra-profondo del telescopio, ovvero l’Hubble Ultra Deep Field. Le profondità del cosmo sono soltanto apparentemente oscure e vuote. In realtà contengono circa 10mila galassie nella costellazione della Fornace, sotto la costellazione di Orione.
Aver puntato l’infrarosso in tale direzione ha permesso a un team internazionale di ricerca, guidato dal Dipartimento di Astronomia dell’Università di Stoccolma, di rilevare delle variazioni nella luminosità delle galassie. Questo è un chiaro segno rivelatore di buchi neri.
Il confronto con le immagini prodotte nel 2009, 2012 e 2013 ha poi lasciato comprendere come risulti evidente un numero decisamente maggiore di buchi rispetto alle previsioni. L’indagine condotta riguarda otto oggetti, nello specifico tre supernove, due nuclei galattici attivi e tre probabili candidati AGN (nuclei galattici attivi). I risultati preliminari sono stati delineati in un nuovo studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, che ha fornito una prima misura del numero di buchi neri supermassicci nell’Universo primordiale.
Ecco quanto scrivono gli autori: “Stimiamo una densità numerica di buchi neri supermassicci maggiore di circa ≳ 8 × 10 −3 cMpc −3, ovvero il valore più grande riportato ad alti redshift. Tale abbondanza è anche sorprendentemente simile a quella dell’Universo locale”.
Tutto ciò rientra in una materia estremamente intrigante ed enigmatica. Basti pensare che, ad oggi, non abbiamo ancora un quadro completo ed esaustivo di come i primi buchi neri si siano formati poco dopo il Big Bang.
Ecco le parole della dottoranda Alice Young, dell’Università di Stoccolma e coautrice dello studio: “Molti di questi oggetti sembrano essere più massicci di quanto originariamente pensavamo che potessero essere in epoche tanto remote. Un’ipotesi è che fossero già molto massicci nella fase della loro formazione, oppure che abbiano subito un processo di crescita in tempi rapidissimi”.
Ciò che i nuovi risultati suggeriscono è che alcuni buchi neri si siano formati probabilmente in seguito al collasso di stelle massicce e incontaminate. Il tutto nell’arco del primo miliardo di anni dopo il Big Bang.
Questi tipi di stelle avevano modo di esistere unicamente nei primi tempi del nostro Universo. Ciò perché le stelle di generazioni successive sono risultate inquinate dai resti di quelle vissute e morte. Un’alternativa che corre parallela è quella che prevede il collasso di nubi di gas, fusioni di stelle in ammassi massicci e buchi neri primordiali formatisi nei primi secondi dopo il Big Bang.