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SCIENZA

Trovati resti di un cuore preistorico: hanno rivelato informazioni importantissime

Come siamo diventati ciò che siamo? A rivelarcelo è un antico cuore preistorico, recentemente ritrovato: questo fossile rivela informazioni sulle trasformazioni complesse che ci hanno portati a diventare "umani"

Potremmo illuderci di sapere ogni cosa sul corpo umano e su come funziona, ma sappiamo davvero come siamo arrivati fin qui? Quanto conosciamo, sul serio, della nostra evoluzione? La risposta è poco, pochissimo, e non c’è da sorprendersi: siamo le creature più complesse (finora) dell’Universo. Ciononostante, siamo anche creature curiose, che indagano costantemente sulla propria natura. Ed è per questo che adesso stiamo analizzando i resti di un cuore preistorico, che potrebbe dirci molto di più sulla nostra storia.

Ebbene sì: alcuni ricercatori si sono imbattuti in un cuore che ha ben 380 milioni di anni e che si aggiudica il primato di più antico mai trovato. Ma non solo, perché insieme a questo cuore così antico, ormai fossile, sono state trovate le tracce di una formazione ossea che ha fatto differenza per la nostra storia: quella mascellare.

Il cuore fossile e la sua lunga storia

Tornando al cuore, attenzione però: non si tratta di un cuore umano. L’organo in questione appartiene a un pesce corazzato, antichissimo e ormai estinto, appartenente alla classe degli artrodiri. Questa classe di pesci fiorì nel Devoniano, un periodo del Paleozoico inquadrato tra 419,2 milioni e i 358,9 milioni di anni fa ed è molto simile agli squali moderni. A rinvenire questo cuore fossile è stato il team della Curtin’s School of Molecular and Life Sciences, che ha collaborato con il Western Australian Museum per realizzare degli scavi in una regione dell’Australia dell’Ovest.

Guidati dalla professoressa Kate Trinajstic, gli scienziati hanno rinvenuto diverse quantità di reperti relativi alla vita preistorica, ma non pensavano di imbattersi in quello che è stato definito “cuore 3-D” per la sua perfetta conservazione tridimensionale. In generale, i tessuti molli delle specie antiche si conservano difficilmente, ma nello specifico trovare un cuore in queste condizioni è davvero rarissimo.

Ma perché, dunque, il cuore di un pesce dovrebbe avere a che fare con l’evoluzione umana? A spiegarlo è la professoressa Trinajstic, che ha detto: «siamo abituati a pensare all’evoluzione, sia animale che umana, come a una serie di passi piccoli, graduali. Questi antichi fossili, invece, ci rivelano che c’è stato un salto molto più ampio tra i vertebrati ancestrali e quelli evoluti, con la presenza di organi funzionanti in tempi insospettabili».

Il cuore 3D e la presenza della mascella

La Trinajstic, insieme al suo team, ha ricostruito in digitale il cuore dell’artrodiro, evidenziando la presenza di due camere (ventricoli) con la più piccola situata in cima. Ciò dimostrerebbe che gli organismi del Devoniano erano avanzati, con corpi e sistemi molto più complessi e articolati di quanto si possa pensare. In più, ha evidenziato una cosa essenziale: per la prima volta, in quel periodo, il cuore e gli organi chiave si trovavano sotto una primitiva mascella, un insieme di ossa che fino a quel momento non esisteva.

Il complesso mascellare (che è stato decisivo anche per l’evoluzione umana) ha iniziato dunque a comparire in quel periodo, con lo scopo, almeno nel pesce corazzato dello studio, di proteggere il cuore, lo stomaco, il fegato e l’intestino.

Le trasformazioni dei corpi e la storia che cambia

La presenza dell’osso mascellare e la collocazione degli organi sotto la regione della testa e del collo testimonia, dunque, come i corpi del Devoniano (non solo quelli dei pesci in questione) cominciavano a cambiare per formare delle teste sempre più complesse e in grado di “proteggere” l’organismo. Il team della professoressa Trinajstic ha anche chiesto aiuto agli scienziati dell’Australian Nuclear Science and Technology Organization di Sydney e dell’European Synchrotron Radiation Facility in Francia per radiografare il cuore e i resti dell’artrodiro.

I ricercatori hanno dunque ottenuto un “quadro” composto da organi mineralizzati e da tessuti molli di diversa densità, che fa comprendere meglio la transizione evolutiva dei vertebrati mascellari viventi. E che lascia intendere che possa esserci stato un salto di qualità in diverse classi di esseri viventi, compresi i mammiferi e, conseguentemente, gli esseri umani.