Un'epidemia si è diffusa tra i grandi felini negli USA: morti 20 animali in un rifugio
La morte di 20 grandi felini del Wild Felid Advocacy Center fa lanciare un nuovo allarme sull'influenza aviaria: aumentano le specie a rischio
Sembrerebbe evolversi in maniera sempre più impattante per l’ecosistema l’influenza aviaria, da diverso tempo sotto stretta osservazione da parte degli esperti per i cambiamenti e gli adattamenti del virus che la scatena (A/H5N1).
A lanciare un nuovo allarme per il mondo animale è un team di veterinari statunitensi, i quali hanno dovuto attestare che la morte di 20 grandi felini all’interno di un rifugio è proprio da attribuirsi a questa patologia. Gli animali sarebbero stati contagiati e sarebbero peggiorati rapidamente, fino all’esito fatale.
La morte dei grandi felini
Per capire meglio l’accaduto occorre fare un passo indietro. Pochi giorni fa il Wild Felid Advocacy Center di Washington, famoso rifugio per grandi felini che ospita puma, linci rosse, serval, tigri, linci canadesi ed eurasiatiche e ibridi domestici e selvatici, ha pubblicato un avviso annunciando lo stato di quarantena e la chiusura al pubblico.
La decisione è arrivata dopo che 20 animali sono morti, lasciando sgomenti i volontari: il Wild Felid Advocacy Center ospitava circa 40 esemplari, dunque la metà dei felini protetti sono scomparsi, tra cui quattro puma e una tigre del Bengala. Il rifugio ha anche spiegato cosa ha causato tutti questi decessi: il virus dell’influenza aviaria, rilevato dai medici chiamati in soccorso.
Il contagio e i provvedimenti
Il primo felino, un puma, è morto il 23 novembre dopo aver mostrato i segni della malattia: il suo stato è passato velocemente da un leggero malessere a una polmonite fulminante, che ha portato l’apparato respiratorio dell’animale a collassare. Il virus ha poi rapidamente contagiato molti altri animali.
La cosa più drammatica è che alcuni dei felini che si sono ammalati non avevano contatti diretti, dunque è molto probabile che l’epidemia sia stata causata da secrezioni respiratorie trasmesse da uccelli infetti ai gatti o da carne contaminata data in pasto agli animali.
Per cercare di tutelare gli animali sopravvissuti, i volontari e i responsabili del rifugio hanno dovuto gettare via quasi 4.000 kg di cibo e carne. È stata poi avviata un’operazione di disinfezione profonda, cosa che però ha messo a dura prova le finanze di quella che è un’organizzazione no-profit. Gli altri animali sono sotto stretta osservazione.
L’allerta
Come dicevamo all’inizio, la morte dei venti grandi felini sembrerebbe confermare quella che è la preoccupazione per le nuove varianti di H5N1. Dopo la scoperta che il virus si sta diffondendo anche attraverso le mucche, sono sempre di più gli scienziati che invitano alla cautela e a monitorare attentamente la situazione, chiedendo di non dare nulla per scontato perché il contagio sta visibilmente avvenendo interspecie.
Nonostante non sia ancora responsabile di morie di massa (a eccezione dei leoni marini sudamericani), l’evoluzione del virus potrebbe causare danni sempre più ingenti. Moltissimi esperti sottolineano che la portata della diffusione potrebbe diventare sempre più ampia, anche e soprattutto a causa delle migrazioni dei volatili infetti.
Si teme anche per gli animali domestici, che potrebbero contrarre il virus per mezzo del contatto con escrementi o secrezioni degli uccelli. Per il momento non esistono misure di prevenzione né di cura: si può solo essere vigili.