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Perché tutti stanno parlando di questo straordinario ritrovamento: cosa hanno scoperto

Dopo alcuni incredibili ritrovamenti, i ricercatori hanno trovato delle risposte a un quesito annoso: come hanno fatto i Neanderthal a sopravvivere così a lungo, anche in condizioni davvero ostili?

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Sappiamo tutti che l’uomo di Neanderthal è stato il primo ominide effettivamente “evoluto”, in grado di raggiungere dei livelli organizzativi, culturali e sociali finalizzati alla sopravvivenza e al miglioramento dello stile di vita. Ciononostante, il fatto che sia vissuto per così tanto tempo (fra i 2000 e i 4000 anni) è sempre stato classificato come un mistero, al pari della sua repentina fine.

Se però sulla fine non abbiamo ancora delle vere risposte, a quanto pare cominciamo a capire come l’Homo Neanderthalensis sia riuscito ad attraversare diverse ere. Da una parte ha sicuramente fatto gioco il processo di ibridazione, ma dall’altro una recente scoperta ha dimostrato che le capacità di questo gruppo primitivo del paleolitico medio erano molto più sviluppate di quanto si potesse immaginare.

Il ritrovamento straordinario in Germania

Qual è la scoperta di cui stiamo parlando? In sostanza un gruppo di biologi, archeologi ed esperti di preistoria e protostoria erano impegnati in una campagna di scavi ad Halle. In questa zona della Germania si trova una delle aree più interessanti per tutto ciò che riguarda la storia dell’evoluzione: una grande miniera di lignite, una cava a cielo aperto che rappresenta un esempio perfettamente conservato di ecosistema interglaciazione.

All’interno di questo ecosistema sono conservati residui perfettamente analizzabili di flora e fauna riconducibili all’uomo di Neanderthal. Gli scienziati al lavoro non potevano però immaginare di trovarsi davanti a un ritrovamento davvero straordinario: le ossa di circa settanta elefanti del Pleistocene, molto simili ai mammut ma più grandi (sono circa tre volte gli odierni elefanti asiatici e un maschio adulto poteva pesare fino a 13 tonnellate).

Gli elefanti e l’uomo di Neanderthal

Ma cosa c’entrano gli elefanti con l’uomo di Neanderthal? Tutto, in realtà. I resti degli animali in questione hanno infatti rivelato che si trattava di un gruppo con un profilo di mortalità “squilibrato”, cosa che lasciava intendere che a mettere fine alla loro vita fosse stato un agente esterno. Una volta compreso questo strano fatto, a prendere in mano l’intera ricerca è stata la dottoressa Sabine Gaudzinski-Windheuser, che ha eseguito la prima indagine archeozoologica sui resti.

Ci sono voluti un paio di anni (gli studi sono iniziati all’inizio del 2021), ma la Gaudzinski-Windheuser è riuscita a venire a capo del mistero: sulle ossa erano presenti segni netti, causati da strumenti in pietra. Ulteriori analisi hanno rilevato anche segni di tagli e di strappi, riconducibili solo a due prassi: la caccia e la successiva macellazione.

Le capacità dell’Homo Neanderthalensis

La scoperta della Gaudzinski-Windheuser è straordinaria perché dimostra che l’uomo di Neanderthal era in grado, appunto, di cacciare e poi macellare questi enormi animali. Ciò implica che i gruppi di ominidi fossero numerosi, più di quanto si potesse pensare, e molto più che organizzati. Infatti, i resti erano praticamente tutti di elefanti di sesso maschile, adulti, né giovani né vecchi. Questo significa che i Neanderthal si tenevano alla larga dalle femmine, più aggressive e coese, e dagli esemplari più giovani e forti.

Ragionavano in modo impeccabile, scegliendo i maschi adulti perché, per abitudine, tendono a isolarsi e a non fare gruppo, ed evitando i vecchi perché “insufficienti” o troppo scarni per i loro standard. Inoltre, considerando i processi di macellazione, è molto probabile che fossero anche in grado di conservare i cibi per un lungo periodo. Nei prossimi mesi, il sito vicino ad Halle verrà esaminato con maggiore accuratezza, ma una cosa è certa: c’è ancora molto da scoprire su questa fase dell’evoluzione dell’uomo.