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SCIENZA

Hanno ritrovato qualcosa di preziosissimo all'interno di un monastero abbandonato

Un mosaico bizantino riemerge nel deserto: simboli sacri e nomi di monaci svelano la vita di un antico monastero abbandonato

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​Nel cuore arido del Negev settentrionale, tra le sabbie che da secoli custodiscono i segreti del passato, un gruppo di archeologi ha riportato alla luce qualcosa di straordinario. All’interno di un antico monastero abbandonato, è emersa una testimonianza preziosissima della vita monastica di oltre 1.400 anni fa: un mosaico, tanto semplice quanto carico di significato.

Grazie alla sua presenza, gli studiosi hanno svelato frammenti di storie dimenticate, nomi di monaci e simboli di fede che a lungo sono rimasti incastonati nel pavimento del luogo sacro. Come sempre accade quando avvengono questi ritrovamenti, si è sollevato un grande interesse tra gli studiosi e gli appassionati di archeologia, data la possibilità di gettare uno sguardo raro e dettagliato sulla quotidianità dei monaci bizantini che abitavano queste terre remote. Ma cosa rende questo mosaico così speciale? E quali misteri si celano dietro le sue tessere colorate?

La scoperta

Per avere un quadro completo bisogna fare un passo indietro: correva l’anno 2014 quando l’Israel Antiquities Authority (l’ente governativo israeliano che tutela le antichità e i siti archeologici del Paese) ha iniziato a condurre uno scavo archeologico nei pressi dell’insediamento moderno di Giv’ot Bar, a nord di Beersheba, nella regione del Negev settentrionale. Ai tempi l’area, nota come Naḥal Peḥar, ha restituito i resti di un monastero e di una fattoria risalenti al periodo bizantino, databili tra il VI e il VII secolo d.C.​

Secondo l’archeologo Nir-Shimshon Paran, responsabile dello scavo, il monastero era sorprendentemente ben conservato, con strutture che includevano una cappella, un refettorio, una cucina, aree di servizio e un torchio per la produzione del vino. Le pareti spesse dell’edificio principale conferivano al complesso l’aspetto di una struttura fortificata, suggerendo la necessità di protezione in un’epoca di instabilità.​

Dopo 11 anni di lavori approfonditi, come si può leggere nello studio pubblicato proprio sul sito dell’Israel Antiquities Authority, sono stati recuperati numerosi reperti che comprendono ceramiche databili tra il 460 e il 475 d.C., un vaso da cucina del periodo compreso tra la fine del V e il VII secolo, e due tombe nella zona dell’abside, una delle quali decorata con una croce incisa.

Il mosaico nascosto

Come abbiamo accennato, però, il cuore della scoperta è rappresentato da un mosaico. Situata nella cappella del monastero, la decorazione si trova al centro del pavimento e presenta un’iscrizione greca su sette righe, racchiusa dentro una cornice, che menziona il nome del monastero e i nomi di quattro monaci che vi risiedevano.​ Come si legge nello studio, si tratta di un’opera piuttosto semplice, probabilmente realizzata dagli stessi monaci, ma questa semplicità non ne diminuisce l’importanza.

Anzi, al contrario, la sua autenticità offre uno spaccato genuino della vita monastica nel deserto. Accanto alla cappella altre stanze presentavano dettagli interessanti, come una depressione conica nel pavimento a mosaico, probabilmente utilizzata per sostenere un recipiente, e una cucina identificata grazie a uno strato di cenere spesso dieci centimetri, indicativo di un’area di cottura: tutti elementi che testimoniano una vita comunitaria autosufficiente, in cui il lavoro agricolo e la spiritualità si intrecciavano quotidianamente.

Il significato e gli interrogativi

La presenza di un monastero in una zona così remota del Negev solleva interrogativi affascinanti: perché i monaci scelsero di stabilirsi in un’area tanto isolata e inospitale? E cosa li spinse ad abbandonare il complesso in modo così ordinato?​ Gli studiosi ipotizzano che il monastero facesse parte di una rete di insediamenti religiosi lungo una rotta che collegava la Transgiordania con la valle di Beersheba.

La sua posizione strategica avrebbe facilitato il passaggio di pellegrini e commercianti, offrendo al contempo un luogo di ritiro spirituale.​ L’abbandono del sito potrebbe essere attribuito a diversi fattori, tra cui un deterioramento delle condizioni di sicurezza nella regione durante la transizione al periodo islamico, o eventi naturali come terremoti, che in passato hanno colpito l’area. Le iscrizioni trovate, tra cui due epitaffi scritti in inchiostro rosso-bruno, confermano l’uso del sito come luogo di sepoltura, aggiungendo un ulteriore livello di complessità alla sua storia.​ Gli studi nell’area proseguiranno, nella speranza di collezionare ulteriori risposte.

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