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Sono arrivati fin dove non si erano mai spinti: sulla Terra è record

La determinazione di un team di geologi ci ha consentito di entrare in possesso di un campione di roccia da record: una missione straordinaria.

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Uno sguardo rivolto allo spazio e l’altro al cuore del nostro Pianeta. Quando nel 1961 un gruppo di geologi intraprese un “viaggio” al di sotto della crosta terrestre, perforandola da una nave, la speranza di estrarre un campione di mantello era tangibile. Ma è bastato poco per spezzare questo sogno: il trapano allora arrivò a un paio di centinaia di metri sotto il fondale marino, poi il progetto fu abbandonato. Oggi, nel 2023, a quanto pare qualcuno è riuscito a battere ogni record.

Missione da record sulla Terra

I ricercatori a bordo di JOIDES, nave scientifica da perforazione – nonché ex petroliera – fiore all’occhiello dell’International Ocean Discovery Program (IODP), hanno condiviso un comunicato che ha attirato l’attenzione di molti lo scorso 21 maggio: sono riusciti a portare a termine una missione da record, perforando una montagna sottomarina e raccogliendo un campione di roccia direttamente dal mantello terrestre.

Stando alle parole del team, questa straordinaria impresa è stata possibile grazie ai mezzi della JOIDES che ha consentito loro di perforare il massiccio dell’Atlantis, ovvero una montagna sottomarina situata sulla dorsale medio-atlantica nelle profondità dell’Oceano Atlantico settentrionale.

Allineando il trapano in questo specifico punto, i geologi hanno praticato un buco profondo circa 1.267 metri, per poi estrarre una quantità “sbalorditiva” di rocce di serpentinite, ovvero rocce metamorfiche che si formano tra le placche tettoniche. La portata della missione è comprensibile: sebbene non si tratti del punto più profondo mai raggiunto al di sotto della crosta terrestre, il campione estratto è lungo oltre 1 km e rocce di tali dimensioni non erano mai state riportate in superficie finora.

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Il campione di roccia estratto dal mantello terrestre

Tecnicamente il trapano non ha raggiunto letteralmente il mantello. I geologi hanno approfittato di una “finestra tettonica”, come loro stessa l’hanno definita, ovvero di una regione in cui le rocce sono state spinte verso l’alto rispetto alla loro normale sede. In questo modo è stato possibile prelevarne il campione da record.

“Sulla Terra la roccia del mantello è normalmente estremamente difficile da raggiungere – si legge nel comunicato di JOIDES -. Il massiccio dell’Atlantis offre un raro vantaggio per accedervi, in quanto è composto da rocce del mantello che sono state portate più vicino alla superficie attraverso il processo di diffusione ultra lenta del fondo marino“. E prosegue affermando che “Ciò offre l’opportunità unica di perforare e portare alla luce questa roccia del mantello che non è stata alterata dagli agenti atmosferici sulla superficie, consentendo agli scienziati di entrare in possesso di nuove informazioni sulla composizione e sulla struttura del mantello, nonché sui processi che trovano posto al suo interno”.

Il campione estratto è composto principalmente di peridotite, roccia ignea grossolana ricca di olivina e pirosseno molto comune nel mantello superiore, ma il team di geologi sta ancora scavando per ottenere campioni a profondità ancora maggiori.

Perché è importante studiare il mantello terrestre

Susan Lang, biogeochimica presso la Woods Hole Oceanographic Institution e co-responsabile della missione, ha affermato che questi sono  “I tipi di roccia che speravamo di recuperare da molto tempo”. Comprenderne le ragioni non è poi così difficile: queste rocce “di profondità” custodiscono un prezioso tesoro di informazioni che i geologi esamineranno per apprendere maggiori informazioni sul funzionamento interno della Terra.

Studiare pezzi del mantello terrestre possono fornire agli scienziati nuovi elementi importanti per approfondire fenomeni come il vulcanismo o il funzionamento del campo magnetico della Terra. Tutto in modo molto più chiaro e preciso rispetto agli studi effettuati sui campioni prelevati dalle eruzioni vulcaniche che – com’è ovvio – risultano “contaminati” e lontani dal loro aspetto originario.