Hanno studiato il colore del mare e individuato le zone più "sane"
Il fitoplancton è ancora piuttosto misterioso dal punto di vista scientifico, ma alcuni ricercatori ne hanno analizzato il ruolo e il nutrimento
Ormai le ricerche scientifiche non dovrebbero stupire più nessuno, nemmeno quando l’argomento potrebbe sembrare particolare. Di recente, ad esempio, alcuni ricercatori si sono occupati del colore del mare. Perché concentrarsi su quello che, soltanto all’apparenza, somiglia tanto a un argomento secondario?
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Science” ed è stato curato da esperti dell’Oregon State University, dell’Università del Maryland Baltimore County e della NASA. Il loro obiettivo è stato fin da subito comprendere meglio il ruolo del fitoplancton, l’insieme di organismi presenti nel plancton in grado di sintetizzare la sostanza organica. La scoperta è stata sorprendente.
Il galleggiamento del fitoplancton
Negli ultimi decenni, infatti, gli scienziati si sono concentrati sulla cosiddetta fertilizzazione naturale degli oceani. In poche parole, i pennacchi di cenere vulcanica, fuliggine di incendi e polvere del deserto vanno a riversarsi sulla superficie del mare, stimolando la fioritura del fitoplancton. In generale, c’è una pioggia costante di particelle di polvere proprio sull’oceano che facilita la crescita di questi organismi quasi per tutto l’anno. I ricercatori americani hanno sfruttato le osservazioni satellitari e soprattutto un modello computerizzato avanzato. L’informazione principale di partenza è stata quella del galleggiamento del fitoplancton vicino alla superficie del mare, un dettaglio che gli permette di sopravvivere alla luce solare.
Secondo il nuovo studio, quando la polvere citata sopra si deposita in fondo all’oceano, contribuisce al 4,5% della produzione complessiva di fitoplancton. In alcune zone del mondo, poi, questa percentuale sale addirittura a livelli compresi tra il 20 e il 40%. Tra l’altro le particelle di polvere sono capaci di viaggiare per migliaia di chilometri prima di “affondare” nel mare. Si sapeva già che il trasporto di questa polvere via acqua è qualcosa di concreto, ma fino ad ora nessuno era stato in grado di dimostrare cosa accade. Fortunatamente i responsabili della ricerca hanno avuto la possibilità di contare su strumenti piuttosto sofisticati.
Come è stato tenuto sotto controllo il fitoplancton
I due autori principali, Toby Westberry e Michael Behrenfeld, sono oceanografi esperti di telerilevamento presso la Oregon State University e si sono avvalsi di 14 anni di misurazioni del colore dell’oceano. Tutte queste informazioni sono state raccolte dal MODIS, per la precisione il Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer: si tratta di uno dei dispositivi in dotazione al satellite Aqua della NASA che ha funzionato dal 2003 al 2016. Non solo è stato determinato il momento e il luogo esatti delle fioriture di fitoplancton, ma anche il loro stato di salute e persino l’abbondanza (in base alla concentrazione effettiva di clorofilla).
Il passaggio successivo è consistito nel confronto tra i colori degli oceani e i risultati registrati dal modello GEOS (Godard Earth Observing System) della NASA sulla deposizione di polvere nel corso dei tredici anni. Si è capito che anche quantità molto modeste di polvere del deserto contribuivano ad aumentare la massa e la salute generale del fitoplancton, una correlazione davvero sorprendente. Vale la pena ricordare che i benefici “nutrizionali” della polvere del deserto non si limitano all’apporto di ferro, ma anche al fosforo e all’azoto. Serviranno ora altre ricerche dello stesso tipo per confermare le conclusioni dello studio americano.