Thunderbolts* parla di salute mentale come i film Marvel non hanno mai fatto
Il nuovo film del MCU con Florence Pugh e David Harbour è stato applaudito dalla critica per il modo in cui affronta il tema della salute mentale

Per la prima volta un film del Marvel Cinematic Universe parla (bene) di salute mentale: un fatto che non è sfuggito alla critica e al pubblico, che infatti hanno accolto la novità con recensioni positive e con piacevole sorpresa. Il film in questione è il nuovo Thunderbolts*: diretto da Jake Schreier e scritto da Lee Sung Jin, Joanna Calo ed Eric Pearson, è distribuito da Walt Disney Studios Motion Pictures ed è uscito in Italia il 30 aprile 2025. La trama ruota attorno a un gruppo di antieroi reclutati dal governo degli Stati Uniti per una missione ad alto rischio in cambio di redenzione, ma, come scopriranno, la realtà del loro lavoro è diversa da quella che è stata loro presentata.
Di cosa parla il nuovo film Thunderbolts: trama, trailer e cast
In Thunderbolts* gli improbabili supereroi protagonisti, come accennato, vengono reclutati per una missione ad alto rischio, ma scoprono di essere in realtà stati manipolati per compiere un’azione suicida. Decidono dunque di ribellarsi contro Valentina Allegra de Fontaine, la loro reclutatrice, e contro lo stesso governo degli Stati Uniti.
Tra i protagonisti della storia ci sono Yelena Belova/Vedova Nera (interpretata da Florence Pugh), James “Bucky” Barnes/Soldato d’Inverno (Sebastian Stan) e Alexei Shostakov/Red Guardian (David Harbour).
Come Thunderbolts* racconta il trauma e la salute mentale
Secondo diverse testate di settore, Thunderbolts* si distingue per una narrazione più introspettiva rispetto ad altri film del MCU, dal momento che si concentra sul tema della salute mentale in modo abbastanza inedito. Questo aspetto, che risulta comunque ben bilanciato con le scene d’azione, porta sullo schermo personaggi più profondi, sfaccettati e complessi – e, in definitiva, più veri e interessanti.
Naturalmente non è la prima volta che il tema della salute mentale viene affrontato sul grande schermo, ma nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto in film d’azione o supereroistici, l’argomento viene trattato in modo vago e marginale, se non proprio stereotipato, riduttivo e superficiale.
Thunderbolts* si fa notare invece per la mancanza di banalità psicologiche e per la volontà di raccontare in che modo i protagonisti affrontano traumi e difficoltà interiori.
Ad esempio, Yelena (alias Florence Pugh) si sente vuota e senza speranze per via dell’isolamento e della violenza che hanno caratterizzato la sua vita da killer, e sente di non avere nessuno con cui parlarne. «Il tanto discusso salto dal grattacielo è una metafora immediata dello stato mentale di Yelena e della scelta che dovrà affrontare per uscirne», ha scritto Jacob Slankard su Collider facendo riferimento alla scena iniziale del film.
Anche un altro personaggio, Bob (interpretato da Lewis Pullman), deve fare i conti con gravi traumi psicologici i cui effetti sono stati amplificati dal siero superumano. L’attore David Harbour, invece, ha sottolineato che il film affronta il tema dell’autocommiserazione, un sentimento che in effetti sommerge il suo personaggio, Alexei.
Cosa succede agli antieroi di Thunderbolts
I protagonisti di Thunderbolts*, insomma, hanno a che fare con un disagio esistenziale più autentico e complicato, e che ha direttamente a che fare con il loro ruolo di eroi, con il tipo di vita che conducono oppure con il modo in cui vengono percepiti dal pubblico.
Come fanno notare alcuni critici, però, questo non significa che Thunderbolts* sia cupo e senza speranza. Il film è pieno di battute vivaci e la proverbiale luce in fondo al tunnel, per i protagonisti, si intravede quando entra in gioco Bucky (interpretato da Sebastian Stan), un veterano che ha già affrontato i propri demoni e funge da guida per il gruppo.
Anche questo è un punto particolarmente sottolineato e apprezzato: nel film il trauma psicologico non viene “curato” magicamente, non sparisce con uno schiocco di dita grazie a un commovente discorso di incoraggiamento. I lati oscuri e le difficoltà dei protagonisti non smettono di esistere, ma in qualche modo loro imparano a conviverci un po’ meglio.
«Anche se il finale è da classico climax supereroistico, è onesto sulle sfide reali della salute mentale», riassume sempre Slankard su Collider