Sostanze chimiche tossiche rilevate dopo gli uragani: scatta l'allerta
Gli uragani comportano ogni anno delle devastazioni ambientali atroci: ecco perché diffondono inquinanti nel territorio
La devastazione provocata dagli uragani ha degli effetti collaterali estremamente dannosi. Occorre tener conto del fatto che lungo il tragitto di questo atroce evento naturale possono esserci delle industrie. Una realtà verificatasi ad esempio nella fase acuta dell’uragano Helene. Ecco le conseguenze di tutto ciò.
Inquinamento post uragano
Quando l’uragano Helene ha inondato numerose comunità del sud-est degli Stati Uniti, sul finire di settembre scorso, ha seguito un percorso costellato di impianti industriali. Sul territorio ne sono presenti a centinaia, colmi di inquinanti tossici.
Si parla di fabbriche di fertilizzanti, cartiere e soprattutto impianti di stoccaggio di gas e petrolio. Al di là della questione meramente economica, connessa ai danni strutturali provocati, occorre considerare il peso ambientale di tutto ciò.
Le sole cartiere risultano essere tra le industrie più inquinanti del pianeta. Al loro interno sono infatti presenti migliaia di chili di piombo, che derivano dalle pratiche di produzione più recenti. In Georgia è così scattato un gravoso allarme, come del resto in Florida.
I funzionari di quest’ultimo Stato hanno riferito come una centrale nucleare in pensione, posta a sud di Cedar Key, abbia subito un’ondata di tempesta di ben 6 metri. Quest’ultima ha travolto gli edifici e un bacino di raccolta delle acque reflue industriali. Si ritiene che il combustibile nucleare esausto, posto all’interno del sito (allagato già durante l’uragano Idalia del 2023), sia al sicuro, ma urgeranno degli approfonditi controlli.
Il rischio di diffusione di inquinanti nell’ambiente circostante è infatti enorme. Si pensi che nelle aree più interne, come in Carolina del Nord e del Sud, ma anche in Tennessee, la tempesta ha scaricato più di mezzo metro di pioggia su vari siti industriali. Alcuni di questi sono posti nei pressi di corsi d’acqua, rapidamente allagati con il deflusso delle montagne.
La contaminazione non è da escludere, considerando come in disastri del genere i danni industriali possano durare giorni. I cittadini, ignari, potrebbero scoprire dell’avvenuto rilascio di sostanze chimiche tossiche nell’aria o nell’acqua dopo giorni o settimane.
Episodi precedenti
Quella dell’inquinamento ambientale successivo agli uragani è una questione di certo non nuova. Nel 2022 l’uragano Ian si è abbattuto sulla costa occidentale della Florida, provocando numerosi danni. Tra questi anche il deflusso di materiali pericolosi provenienti da serbatoi di stoccaggio e impianti di estrazione di fertilizzanti.
Si parla di milioni di litri di acque reflue riversatisi nelle zone umide del Golfo del Messico. Un anno prima, invece, l’uragano Ida aveva provocato più di 2.000 fuoriuscite di sostanze chimiche. Nel 2017 è stato il tempo dell’uragano Harvey, con acque alluvionali che hanno cinto gli impianti chimici nei pressi di Houston. Alcuni di questi hanno preso fuoco, a causa del malfunzionamento dei sistemi di raffreddamento. Il risultato? Rilascio di enormi volumi di sostanze inquinanti nell’aria.
Nel territorio si era ignari di quanto avvenuto, almeno inizialmente. In molti hanno dunque accusato le sostanze in questione d’aver provocato delle malattie respiratorie. La salute e la sicurezza delle comunità circostanti possono essere compromesse sul lungo periodo, con i residenti travolti non solo dall’uragano ma anche da gravi patologie senza alcun preavviso.
Un recente studio ha riscontrato come dal 2005 al 2020 le emissioni inquinanti nel solo Golfo del Messico siano state da 2 a 3 volte maggiori durante gli uragani, rispetto a condizioni normali.