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Alga tossica in Puglia, i mari e le zone a rischio e come riconoscerla

Quali sono gli effetti dell'alga tossica che da più di 20 anni infesta la Puglia? Ecco cosa sappiamo in merito

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Alga tossica Fonte foto: 123RF

Si sta facendo un gran parlare dell’alga tossica presente sulle coste di Bari. Un elemento che non ha però comportato l’assegnazione di bandiere rosse per l’intera provincia, stando al report Arpa, con riferimento alla prima metà di luglio 2024. Ecco cosa sappiamo in merito alla presenza di Ostreopsis Ovata nelle acque pugliesi.

Alga tossica in Puglia

Di certo non la notizia che i pugliesi si aspettavano o auguravano, sia per sé che per il settore turistico. La Regione sta infatti facendo i conti, in alcune aree, con una micro alga (Ostreopsis Ovata) capace di liberare una tossica dalle serie conseguenze. Il contatto diretto può infatti tradursi in malesseri nei bagnanti, fastidiosi ma transitori.

Per quanto riguarda Bari e provincia, la presenza dell’alga è stata segnalata nell’area di San Giorgio. Occorre però sottolineare come la concentrazione risulti essere statisticamente in calo rispetto alla fase finale di giugno. Un segnale positivo, dunque, con il bollino che da rosso è divenuto arancione.

Di fatto, stando all’ultimo report Arpa, si è passati da una presenza molto abbondante a una abbondante. La situazione è tutt’altro che risolta, è chiaro, ma nel dettaglio oggi la densità è di 193.84 cellule/litro in colonna d’acqua rispetto alle precedenti 230.936.

Per quanto riguarda altre aree, invece, è stata segnalata una presenza moderata di questa alga tossica a Santo Spirito, Giovinazzo e Molfetta. L’elenco prosegue con la località con presenza scarsa, ovvero Monopoli, e quella discreta: sito della ditta IOM-ex Sansolive.

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Alga tossica in Puglia: gli effetti

Senza lasciarsi prendere da allarmismi non necessari, proviamo a spiegare di cosa si sta parlando. Come detto, il nome scientifico di quest’alga tossica è Osteopsis Ovata. Si tratta di un’alga unicellulare, che appartiene al gruppo delle Dinoflagellate. Nella maggior parte dei casi è possibile individuarla su delle macro alghe, ovvero pluricellulari, così come su fondali rocciosi.

Il suo habitat naturale è quello dei mari tropicali, caldi e ben illuminati. Nei mesi estivi tende a svilupparsi grandemente. Viene dunque da chiedersi come sia giunta qui. Probabilmente introdotta, come molti insetti e animali vari, per puro caso attraverso le navi di passaggio. Facile pensare sia finita nelle acque di zavorra.

La situazione è peggiorata nel corso degli anni e non è di certo nata nel 2024. Le prime segnalazioni risalgono al 2000. Da allora la condizione è peggiorata, soprattutto a causa del cambiamento climatico. L’innalzamento delle temperature, infatti, ne favorisce lo sviluppo.

C’è da avere timore? Il sito dell’Arpa spiega come sia stata individuata una tossina, la Palitossina simile. Le principali conseguenze sono state patite da stelle di mare, granchi, molluschi, ricci e altri organismi marini. Sono state infatti verificate morie e sofferenze di vario genere. Ciò nelle aree di estrema concentrazione.

Sono stati segnalati, inoltre, dei malesseri passeggeri in alcuni bagnanti. Ecco quelle che sono state le conseguenze patite:

  • rinite;
  • faringite;
  • laringite;
  • bronchite;
  • febbre;
  • dermatite;
  • congiuntivite.

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