Come i social possono aiutarci a capire se siamo infelici
Un algoritmo creato dall'Universitat de Catalunya è in grado di analizzare le foto e gli elementi testuali che postiamo online e calcolare se siamo infelici
Felicità e infelicità sono due termini molto astratti, di cui è difficile definire i contorni. Spesso non siamo in grado di dire se siamo felici o infelici, e soprattutto cosa potrebbe aiutarci a stare meglio.
Questo potrebbe cambiare, grazie a un algoritmo e al tempo che passiamo sui social.
L’algoritmo che lavora sui social network
Passiamo moltissimo tempo online, a postare sui social network immagini, video, testi. Talmente tanto che forse sarebbe il caso di allenare il cervello a fare un po’ di detox. Ora, i ricercatori dell’Universitat Oberta de Catalunya di Barcellona, in Spagna, hanno sviluppato un algoritmo che è in grado di aiutarci a capire se siamo infelici. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Ieee Transactions on Affective Computing.
Il team che si è occupato di creare questo algoritmo ha lavorato per due anni su quelli che lo psichiatra William Glasser identifica come i cinque bisogni primari (sopravvivenza, potere, libertà, appartenenza e divertimento) e su come questi vengono mostrati sui social newtork, che sono ormai diventati la vetrina della nostra quotidianità.
Gli scienziati hanno quindi costruito un modello di deep learning, che ha testato analizzando 86 profili Instagram scritti sia in spagnolo che in persiano, per evitare di commettere errori legati alla provenienza culturale. Hanno studiato le immagini postate, le didascalie, le biografie e la geolocalizzazione.
Come funziona l’algoritmo che ci dice se siamo felici
Descritto così, sembra un lavoro molto facile. In realtà dietro all’algoritmo sviluppato dai ricercatori dell’Università di Barcellona c’è una conoscenza molto approfondita dell’intelligenza artificiale, delle reti neurali e della ricerca tramite database: tutti strumenti usati per sviluppare questo nuovo strumento.
L’algoritmo in pratica identifica il contenuto delle immagini, un po’ come le macchine di nuova generazione che sono in grado di capire i vari cartelli stradali che si trovano davanti. Categorizza anche i contenuti di testo, come le didascalie e le biografie, e le paragona a un grande database di 30mila immagini e testi creato dagli psicologi.
Ecco un piccolo esempio proposto da Mohammad Mahdi Dehshibi, ricercatore che ha condotto lo studio: “Se dopo una gita con gli amici una persona pubblica una foto in cui è da sola, noi percepiamo un bisogno di potere, ma se sceglie di postare una foto di gruppo, possiamo concludere che la persona cerca anche un modo per soddisfare il suo bisogno di appartenenza”. Potere e appartenenza sono due dei cinque bisogni primari identificati da Glasser.
Un altro dettaglio interessante scoperto da questo algoritmo è che gli utenti di lingua spagnola sono più propensi a menzionare i problemi relazionali quando si sentono tristi rispetto a quelli di lingua inglese.
Non è la prima volta che un algoritmo o uno strumento matematico ci aiuta a capire se va tutto bene. Nel novembre 2021, i ricercatori della Brigham Young University, della Johns Hopkins e di Harvard hanno creato un algoritmo in grado di prevedere i pensieri e i comportamenti suicidi degli adolescenti con un’accuratezza del 91%. Nel 2019 invece, gli scienziati dell’Università del Vermont hanno sviluppato un sistema basato sull’intelligenza artificiale in grado di rilevare i segni di ansia nei discorsi dei bambini piccoli.
Non è nemmeno la prima volta che un algoritmo prevede cose che sono completamente slegate dal mondo matematico o scientifico: ne esiste uno, per esempio, che sa calcolare quando un artista sta per creare un capolavoro.