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Quando e come è possibile usare WhatsApp come prova di reato

A differenza di quanto molti possano pensare, i messaggi su WhatsApp possono essere usati come prova in un processo: testi, screenshot, video e vocali sono prova di reato

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Se c’è un’app che ha cambiato, e anche molto, il nostro modo di vivere negli ultimi 10 anni questa è di certo WhatsApp. L’app di messaggistica di Facebook, oggi Meta, è infatti usata tutti i giorni da oltre 2 miliardi di persone per comunicare in modo immediato, semplicissimo e gratuito. Ma tra quei 2 miliardi di utenti, come è logico, c’è un po’ di tutto e, per questo, WhatsApp può diventare anche uno strumento per commettere reati.

Minacce, bullismo, mobbing, violenza psicologica, ricatto (anche sessuale: sextortion) e molti altri reati possono passare da un messaggio, un video o un vocale inviato alla vittima tramite WhatsApp. Per molto tempo, però, chi commette questi reati ha pensato di poterlo fare su WhatsApp perché i messaggi inviati sulla piattaforma di Meta non potevano essere usati come prova in un processo civile o penale. Ma non è così, come conferma una recente sentenza della Corte di Cassazione (la 22417/2022) riportata dal portale specializzato Le Legge per Tutti. Da questa sentenza emerge, in modo chiaro e netto, che un messaggio WhatsApp può essere usato come prova in un processo.

Messaggio WhatsApp come prova di reato

Secondo la recente sentenza della Corte di Cassazione, ma anche secondo sentenze precedenti, dalle chat è possibile estrarre delle prove valide da usare in un processo. Ciò vuol dire che se qualcuno, tramite messaggi scritti, vocali o video, inviati su WhatsApp compie un reato, allora quei messaggi possono entrare nel fascicolo del processo.

Un messaggio d’offesa, quindi, può diventare prova in una querela per diffamazione. Un messaggio aggressivo e minaccioso, può diventare la prova del reato di minaccia. Più messaggi ripetuti e insistenti possono portare ad una denuncia per molestie e così via.

Ma non solo: uno o più messaggi WhatsApp possono diventare la prova di una truffa (o tentata truffa). La truffa tramite strumenti informatici, infatti, è oggi un reato molto diffuso e frequente grazie all’uso delle moderne tecniche di phishing.

Lo screenshot di WhatsApp è una prova

La legge, quindi, è molto chiara: non possiamo credere di farla franca se usiamo WhatsApp per compiere un reato. Sappiamo, però, che è possibile cancellare i messaggi WhatsApp e, quindi, in teoria è possibile difendersi negando di aver inviato un messaggio o una serie di messaggi.

Per questo motivo la legge prevede che anche gli screenshot delle chat WhatsApp siano validi come prove al processo. Ma non solo: in caso la persona accusata del reato affermi che noi abbiamo modificato con Photoshop o altri programmi di grafica lo screenshot (cosa possibile), spetterà a lui dimostrare che ciò è avvenuto realmente.

Cioè: lo screenshot di una chat WhatsApp è una prova valida, fino a prova contraria: se è modificato, infatti, bisognerà dimostrarlo con un’accurata perizia informatica. Questa è una cosa molto importante, specialmente da quando WhatsApp ha lanciato i messaggi che si autodistruggono.

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