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Smartphone nel cervello, entro 20 anni i primi impianti

Secondo il neurochirurgo Eric Leuthard, gran parte delle componenti di uno smartphone potrebbero essere già impiantate nel nostro cervello. Primi esperimenti ne

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Smartphone nel cervello Fonte foto: Shutterstock

Il futuro che immagina l’ha già descritto in RedDevil 4, libro pubblicato (solo negli Stati Uniti, al momento) nel 2014. Un futuro fatto di cyborg, impianti corporei e comunicazioni telepatiche agevolate da chip simili a quelli utilizzati oggi negli smartphone e altri dispositivi di telecomunicazione.

Lui è Eric C. Leuthardt, neurochirurgo presso la Whashington University di St. Louis (Stati Uniti) e tra i maggiori esperti mondiali di impianti cibernetici e interfacce cervello-computer. Così come descritto nel suo libro (il primo dei tre pubblicati), il neurochirurgo statunitense ritiene più che probabile che, nel giro di qualche decennio, sarà possibile impiantare chip, sensori e antenne all’interno del cervello umano. In meno di venti anni, sostiene Leuthardt, tutte le componenti di uno smartphone potranno trovare spazio nel cranio di una persona e controllate telepaticamente.

Decifrare il codice del cervello

Affinché ciò sia possibile da un punto di vista tecnologico (e non solo medico) è necessario che gli scienziati riescano a decifrare e comprendere il codice del cervello. Devono, insomma, riuscire a creare un collegamento causa-effetto tra le zone del cervello che si attivano pochi istanti prima che compiamo un’azione e “tradurre” il tutto in istruzioni replicabili da chip in silicio in tutto e per tutto simili a quelli che oggi troviamo all’interno degli smartphone o di qualunque altro dispositivo informatico.

Quale impianto?

Nel momento in cui la capacità di “lettura del pensiero” sarà pienamente affidabile (se non al 100%, quanto meno al 90% o 95%), allora si potrà procedere alla creazione di un’adeguata interfaccia uomo-macchina che renda possibili operazioni come la telepatia, il controllo a distanza di oggetti con la sola forza della mente e così via. Allo stato attuale, la strada più facilmente percorribile è quella di una rete di sensori esterni alla scatola cranica, da poggiare direttamente sul cranio (una sorta di caschetto sensoriale, per intendersi).

Secondo Leuthardt e alcuni suoi colleghi, però, non si tratta della soluzione più efficiente: impiantando sensori direttamente sulla corteccia cerebrale si avrebbe una maggior affidabilità nella scansione dei pensieri e un miglior controllo sull’attività neuronale delle persone. Ciò si tradurrebbe in interfacce più potenti e maggiori funzionalità “telepatiche” da poter utilizzare. Il dibattito è aperto, ma se le previsioni fatte da Leuthardt nel suo RedDevil 4 sono esatte, in un arco temporale che non va oltre i 20 anni ci ritroveremo tutti – o quasi – con uno smartphone all’interno della testa.

Impresa comune

In questa sua impresa, comunque, Leuthardt non è affatto solo. Oltre ad aver fondato una società che raccoglie fondi per finanziare le sue ricerche, il neurochirurgo statunitense potrà contare sul supporto – se non economico, quanto meno tecnologico e “psicologico” – di due personalità come Elon Musk (fondatore di PayPal, Tesla e SpaceX, tra le altre cose) e Mark Zuckerberg. Entrambi, infatti, credono nella possibilità di creare un’interfaccia di connessione tra uomo e macchina (in particolare, tra cervello e computer) e di voler dedicare parte delle loro risorse a questo progetto. Oltre 60 ingegneri di Facebook, ad esempio, stanno lavorando su un dispositivo in grado di tradurre i nostri pensieri in parole digitate in un editor di testi; Elon Musk, come da sua tradizione, ha fondato Neuralink, una nuova società il cui scopo è quello di creare interfacce uomo-macchina utilizzabili in qualunque ambito.