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Come scoprire se la stampante 3D è stata hackerata

Un team di scienziati americani ha sviluppato un sistema che permette di capire se la macchina è stata violata dai cybercriminali

Come scoprire se la stampante 3D è stata hackerata Fonte foto: Shutterstock

Le stampanti 3D possono essere violate dagli hacker, esattamente come qualsiasi altro dispositivo in grado di connettersi in rete. Rispetto, però, ad altri device, che dispongono di una connessione a internet, valutare se la stampante 3D è stata compromessa dai cybercriminali non è così semplice.

Eppure un team di scienziati ha trovato un metodo che sembrerebbe funzionare. Prima di passare a illustrare la tecnica innovativa del gruppo di ricercatori americani, è necessario soffermarsi un momento sulla pericolosità che rappresentato le infezioni informatiche subite da una stampante 3D. Come è noto, sono utilizzate non solo per produrre oggetti di piccole dimensioni, ma anche per realizzare componenti molto grandi. Pensiamo a quelle adoperate nelle aziende. Se colpita dagli hacker, ad esempio, la stampante potrebbe mettere in pericolo l’incolumità dei dipendenti. E non è l’unica preoccupazione.

Queste macchine vengono impiegate per stampare parti di dispositivi la cui precisione è di vitale importanza. Ad esempio, sono utilizzate per realizzare protesi. Una macchina violata potrebbe modificare, anche leggermente, l’oggetto e avere delle conseguenze drammatiche per la salute delle persone. Detto ciò, parliamo della tecnica sviluppata dagli studiosi del Georgia Institute of Technology e della Rutgers University.

La tecnica

Il procedimento si articola in tre fasi differenti. Per cominciare, la tecnica registra i suoni emessi dalla stampante e li confronta con quelli corretti. Se sono diversi, è possibile che la macchina sia stata violata dagli hacker. Poi, il sistema verifica anche i movimenti, seguendo lo stesso principio precedente: se non sono uguali, la macchina potrebbe essere stata compromessa.

Il terzo metodo, invece, prevede l’inserimento di speciali particelle d’oro molto piccole (nanorodi) all’interno del materiale usato dalla macchina per stampare. In caso di possibili difetti, causati da una violazione informatica, le particelle d’oro coprono i “buchi” dell’oggetto, permettendo così di individuare le variazioni.