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La pelle sintetica stampata in 3D che cambia colore quando è toccata

I robot in futuro potrebbero avere una pelle che cambia colore dopo essere toccata: l'idea nasce dallo scarabeo tartaruga d'oro, originario delle Americhe.

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Si è scritto molto negli ultimi anni di pelle artificiale. Si tratta, infatti, di un settore in rapida evoluzione. Molti ricercatori sono impegnati nello sviluppo di sistemi elettronici estremamente sottili dotati di sensori che non siano solo flessibili, ma anche economici da poter essere prodotti su larga scala.

L’ultima ricerca a riguardo arriva dal Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory del MIT di Boston. Gli scienziati hanno stampato un dispositivo in 3D in grado di rispondere alle sollecitazioni meccaniche – come essere toccato – cambiando il colore sulla parte di superficie dove si è verificato il “tocco”. L’idea è che questo tipo di sistemi potrebbero essere utilizzati per consentire ai robot di sperimentare il mondo che li circonda in un modo più simile agli esseri umani: di rilevare la pressione, la temperatura e altri stimoli attraverso la loro pelle. Ma potrebbe trovare applicazioni anche al di là della robotica.

La natura è una grande fonte di ispirazione

L’idea, come accennato, è stata presa in “prestito” – come spesso avviene – dalla natura e, nello specifico, dallo scarabeo tartaruga d’oro. «Le reti di sensori e le interconnessioni in natura» spiega Subramanian Sundaram a capo del progetto «sono chiamati percorsi di senso-motori». «Stavamo cercando di capire se fosse possibile replicare questi percorsi senso-motori all’interno di un oggetto stampato in 3D, così abbiamo scelto l’organismo più semplice che abbiamo trovato» aggiunge il ricercatore del MIT. Il risultato è un dispositivo a forma di T realizzato in plastica elastica con una striscia di argento montata sulla superficie e dotato di una sezione in plastica più rigida che ospita due transistor stampati e un “pixel”, ossia un polimero semiconduttore che cambia colore quando la striscia in argento viene allungata. Il dispositivo è alimentato da una normale batteria da 1.5V.

Lo studio è ancora agli inizi

Il dispositivo è stato realizzato tramite una stampante 3D sviluppata dagli stessi ricercatori, utilizzando due differenti testine di stampa – una per le sostanze calde e l’altra per quelle fredde – e diodi che emettono luce ultravioletta per indurire le sostanze stampate. Il device del MIT, in questo momento, può funzionare per circa due mesi, ma i ricercatori sono fiduciosi che, sostituendo alcuni componenti potrebbero aumentarne l’autonomia. Ma, come ammette Subramanian Sundaram, si tratta ancora di una fase iniziale della loro ricerca.

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